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Gramsci contro la casta e i leader

Gramsci contro la casta e i leader

Il grande pensatore sardo critica la politica gestita dall’alto

Martedì 21 aprile 2009
Il quinto volume dell’edizione anastatica dei Quaderni del carcere, in uscita domani, riproduce il secondo Quaderno denominato Miscellanea, proprio per indicare la presenza di argomenti tra loro diversi e l’assenza di un filo conduttore principale. Tra essi uno emerge con particolare forza, dato che costituisce un grande tema non solo dei Quaderni ma dell’intera attività politica e teorica di Antonio Gramsci: il rapporto tra dirigenti e diretti nella scienza politica, l’utilizzo strumentale e interessato delle grandi masse da parte di ristretti gruppi che controllano oligarchicamente partiti politici, organizzazioni sociali, istituzioni rappresentative. Un tema di assoluta attualità, in un tempo nel quale con sempre più insistenza si discute della cosiddetta “casta” e si impone all’attenzione generale la crisi del rapporto di rappresentanza, la distanza della politica dai reali interessi popolari. Nel Quaderno 2, in particolare, Gramsci si sofferma sull’opera di Robert Michels che agli inizi del Novecento aveva analizzato questo fenomeno nelle organizzazioni del movimento operaio. Lo studioso tedesco affermava che nella democrazia la tendenza all’organizzazione e alla specializzazione delle funzioni di direzione politica è una conseguenza inevitabile. Ciò valeva particolarmente per i grandi partiti di massa dove il corpo vasto degli aderenti finiva per essere tiranneggiato da una minoranza dirigente, che trasformava l’organizzazione stessa da mezzo a fine. Nei Quaderni del carcere Gramsci esprime dei giudizi taglienti e sarcastici sugli studi di Michels sui partiti politici, definendoli superficiali e strumentali. Ciò nonostante per Gramsci essi ponevano problemi reali impossibili da trascurare per un’organizzazione politica che intendesse trasformare radicalmente la società. La stessa preoccupazione è presente, sempre nel Quaderno 2, nelle note dedicate al Generale Cadorna che a suo modo costituisce una figura rappresentativa della mentalità delle classi dirigenti italiane e un emblema della contraddizione tra governanti e governati. In politica come in caserma, per i gruppi dirigenti, una volta individuata la direttiva essa va applicata con obbedienza, senza discutere, senza sentire l’esigenza di spiegarne la necessità e la razionalità. Il “cadornismo” consiste nella persuasione che una determinata cosa sarà fatta perché il dirigente la ritiene giusta e razionale, e per questa ragione viene affermata come dato di fatto indiscutibile. Esso per molti versi è la metafora di un problema storico irrisolto: l’utilizzo strumentale delle masse, il fatto che esse finiscano per essere un materiale grezzo nelle mani del “capo carismatico” di turno. Il supermento del “cadornismo”, per Gramsci sarebbe dovuto avvenire attraverso il sostituirsi nella funzione direttiva di organismi politici collettivi e diffusi ai singoli individui, ai “capi carismatici”, fino a sconvolgere i vecchi schemi “naturalistici” dell’arte politica. L’antidoto al capo carismatico sarebbe stato l’intellettuale collettivo, ma questo è già un argomento dei quaderni successivi.
GIANNI FRESU

Professore di Filosofia politica presso la Universidade Federal de Uberlândia (MG/Brasil), Dottore di ricerca in filosofia Università degli studi di Urbino. Ricercatore Università di Cagliari.