BEGIN TYPING YOUR SEARCH ABOVE AND PRESS RETURN TO SEARCH. PRESS ESC TO CANCEL

Interventi al Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista (28-29-giu-03)

Interventi al Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista

Roma, 28 – 29 giugno 2003

Gianni Fresu (Federazione di Urbino)

Tre dati inequivocabilmente segnano la nostra analisi: la sconfitta del referendum; il non certo lusinghiero risultato alle elezioni amministrative; il calo degli iscritti. Tre dati che indicano una crisi del nostro partito e che risultano ancora più allarmanti se si considera che giungono dopo una lunga e ricca stagione di movimento – da cui paradossalmente sembrano trarre maggior giovamento i Ds e il Pdci – nella quale il nostro partito ha investito molte delle sue energie e risorse. Tre dati che hanno alla base la poca credibilità del nostro partito, la natura estemporanea, volubile e per certi versi schizofrenica della nostra linea politica. In tutti questi anni si è esaltata l’idea del partito del «saper fare», dominato da un eclettismo ideologico e da un immediatismo pratico, che portava a considerare il momento dell’approfondimento teorico come un inutile e «vecchio» orpello. Così abbiamo navigato a vista, andando al traino delle diverse posizioni del movimento o assumendo acriticamente le teorie più bizzarre elaborate nei suoi ambienti intellettuali dai diversi ingegneri delle nuove utopie sociali. Il risultato è la totale assenza di una linea politica nella quale le singole battaglie avessero un legame tra loro e quindi con una strategia legata ad un fine. Anche la battaglia per l’estensione dell’articolo 18 non si è inserita in un quadro di azione politico organico e sistematico incentrato sul lavoro, ma ha finito per essere una delle tante campagne che annualmente il partito decide di assumere. Lo stesso vale poi per la politica delle alleanze, dove il livello di schizofrenia raggiunge livelli senza pari, contribuendo a tracciare una linea politica a zigzag che disorienta e risulta incomprensibile allo stesso corpo militante del partito. Come stupirci del risultato alle elezioni se un giorno assumiamo il socialfascismo come orizzonte – affermando che non c’è graduazione di differenza tra centrodestra e centro sinistra – e il giorno dopo diciamo che l’Ulivo è improvvisamente cambiato e siamo pronti ad un accordo di governo senza neanche concordare lo straccio di un programma? Come stupirci del calo degli scritti se un giorno si e l’altro pure diciamo che il partito è uno strumento oramai inutile e sorpassato, che i circoli sono oramai musei polverosi di un modo «novecentesco» di fare politica? Come stupirci del fatto che la battaglia per l’articolo 18 non sia stata considerata credibile, se fino a non molto tempo fa innalzavamo «altari sacri» a intellettuali come Marco Revelli, dicendo che il conflitto tra capitale e lavoro non era più centrale, che le forme di valorizzazione del capitale andavano oltre la produzione?

 

Professore di Filosofia politica presso la Universidade Federal de Uberlândia (MG/Brasil), Dottore di ricerca in filosofia Università degli studi di Urbino. Ricercatore Università di Cagliari.