BEGIN TYPING YOUR SEARCH ABOVE AND PRESS RETURN TO SEARCH. PRESS ESC TO CANCEL

La crisi della politica vista da Gramsci

La crisi della politica vista da Gramsci

Nei Quaderni del carcere anticipò temi oggi sempre di attualità

Martedì 09 giugno 2009
Uno dei temi più ricorrenti in Gramsci riguarda il rapporto tra governanti e governati alla luce delle degenerazioni leaderistiche e carismatiche nella direzione politica. Un esempio in tal senso è contenuto nel Quaderno 6, riprodotto nel Volume 12 in uscita domani, che affronta una serie assai vasta di argomenti ma trova proprio su questo tema alcuni passaggi di assoluta attualità. In essi l’intellettuale sardo si sofferma sul significato negativo assunto dai termini “ambizione” e “demagogia” nel linguaggio politico, per il semplice fatto che si tende in genere a confondere la “grande” con la “piccola ambizione”. L'”ambizione” è così associata all’opportunismo arrivista, al tradimento dei propri ideali e del proprio gruppo sociale per ottenere un maggior guadagno immediato. In realtà queste sarebbero le “piccole ambizioni”, cioè un atteggiamento mentale che spinge alla fretta, ad evitare le difficoltà e i pericoli che l’impegno politico comporta, per conseguire subito un risultato anche se modesto o meschino.
Tuttavia la politica non è concepibile senza ambizione, così come non può esistere un “capo” che non miri all’esercizio del potere, però anche in questo caso il problema non è l’ambizione in sé ma la natura dei rapporti che intercorrono tra il “capo” e la massa con cui si persegue quella “grande ambizione”. Il problema è se l'”ambizione” del capo si eleva dopo aver fatto attorno a sé il deserto, o se questa ambizione è associata alla crescita di tutto uno strato sociale.
Le stesse osservazioni valgono poi per la cosiddetta demagogia, essa è infatti associata alla tendenza generale che porta servirsi delle masse suscitandone l’entusiasmo, sapientemente eccitato e nutrito, con il solo scopo di perseguire le proprie “piccole ambizioni”, che possono poi assumere le forme del parlamentarismo democratico o del bonapartismo plebiscitario e autoritario. Ma se il capo non considera le masse “carne da cannone”, uno strumento buono per raggiungere i propri scopi e poi gettare via, e invece le rende protagoniste storiche di un fine politico organico e generale, la demagogia assume una funzione positiva. La tendenza del demagogo deteriore è quella di rendere se stesso insostituibile, far credere che dietro di lui ci sia solo l’abisso, a tal fine egli elimina ogni possibile concorrente ponendosi direttamente in rapporto, strumentale, con le masse attraverso «il plebiscito, la grande oratoria, i colpi di scena, l’apparato coreografico fantasmagorico». Mentre per Gramsci il capo politico, non mosso dalla piccola ambizione, concorre a creare uno strato intermedio tra sé e la massa, «tende a suscitare possibili concorrenti ed eguali, a elevare il livello di capacità delle masse, a creare elementi che possano sostituirlo nella funzione di capo» in qualsiasi momento. È il grande tema della partecipazione e del rapporto di rappresentanza, vale a dire dei nodi che ancora oggi animano il dibattito sulla cosiddetta “crisi della politica”. Problematiche rispetto alle quali i Quaderni del carcere continuano ad essere, a tanti anni di distanza, un’opera insostituibile.
GIANNI FRESU

 

Professore di Filosofia politica presso la Universidade Federal de Uberlândia (MG/Brasil), Dottore di ricerca in filosofia Università degli studi di Urbino. Ricercatore Università di Cagliari.