Recesione del libro Controstoria del liberalismo di Domenico Losurdo

Recesione del libro Controstoria del liberalismo di Domenico Losurdo1.

 

A cura di Gianni Fresu.

Domenico Losurdo ha un conto aperto con il revisionismo storico e con tutta l’agiografia del pensiero liberale, tra i titoli delle sue pubblicazioni diverse opere sono state già dedicate a questo tema. Controstoria del liberalismo costituisce un serio tentativo, approfondito e storicamente documentato, di abbandonare il quadretto edificante della consueta apologia liberale oggi trionfante nella storiografia come nella politica.

Questo non significa certo disconoscere i meriti e i punti di forza della storia del pensiero liberale, ma, molto più semplicemente, scegliere il terreno reale della storia superando le numerose rimozioni e trasfigurazioni che la caratterizzano, in questo senso il libro che presentiamo può essere definito una «controstoria».

Nella lettura apocalittica sul Novecento e nella sua completa trasfigurazione, il revisionismo storico ha demolito in particolare l’empia progenie del socialismo, imputando a Marx e discepoli tutto il carico di lutti e orrori propri di un secolo insanguinato, fascismi compresi, che non sarebbero figli legittimi dell’ideologia borghese, con tutto il suo carico di tradizione coloniale prima e imperialistica poi, ma un prodotto (autocefalo e tutto sommato salutare) della reazione al bolscevismo. Il fascismo, nei suoi riferimenti ideali, nel suo affermarsi, nelle sue pratiche, fa parte a pieno titolo dell’album di famiglia della borghesia, è espressione organica dei suoi rapporti sociali di produzione, ciò nonostante il revisionismo storico tende a presentare l’orrore del ventesimo secolo come un qualcosa che irrompe improvvisamente su un mondo di pacifica convivenza. Orrore che dunque sarebbe estraneo alla tradizione della civiltà liberale e alla società borghese.

Per introdurre il tema mi collego ad una categoria assai felice cui fa riferimento Losurdo nel Peccato Originale del Novecento (Laterza 1998), questa categoria è il «sofisma di Talmon». Talmon è uno studioso del secondo dopoguerra che usava condannare la democrazia totalitaria (che a suo dire andava da Rousseau a Stalin) contrapponendogli la tradizione liberale che (sempre a suo dire) aveva aborrito coercizione e violenza.

Lenin, la questione contadina, il problema della alleanze

CONVEGNO
I PROBLEMI DELLA TRANSIZIONE AL SOCIAALISMO IN URSS
Napoli, 21-23 novembre 2003

ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI
ISTITUTO DI SCIENZE FILOSOFICHE E PEDAGOGICHE DELL’UNIVERSITÀ DI URBINO

 

Lenin, la questione contadina, il problema della alleanze
Di Gianni Fresu

Il problema delle alleanze e la questione contadina in Lenin costituiscono un tema, ricco di possibili implicazioni e letture, fondamentale per indagare i problemi della transizione al socialismo in URSS, specie in relazione alle scelte di politica economica adottate a seguito dell’abbandono della NEP con Stalin, e alle ricadute politico sociali di quella scelta. Oltre a ciò, indagare questo tema risulta estremamente utile poiché esso, a mio avviso più di ogni altro, ci porta inevitabilmente a confrontarci con la concezione profondamente antidogmatica e dialettica del marxismo di Lenin, dunque un tema che assume una particolare importanza proprio in tempi come questi, nei quali, non solo nell’ambito della storiografia reazionaria, ma anche in gran parte delle impostazioni riconducibili ad intellettuali e dirigenti politici di forze ex e post comuniste, ha prevalso una colossale operazione di rimozione storico-politica che ha finito per nutrirsi di categorie e argomentazioni proprie dell’anticomunismo di maniera più becero e menzognero.
Nelle mie riflessioni su questo argomento ho voluto dividere l’analisi in tre grandi tappe che non hanno solo valore sul piano della scansione temporale dell’opera di Lenin, ma che corrispondono a tre fasi ben precise di un percorso di chiarificazione e definizione teorica che sta alla base della sua strategia rivoluzionaria: la prima di queste tappe corrisponde allo studio delle concrete «formazioni economico sociali» della Russia compiuto da Lenin tra il 1893 e il 1898; la seconda alla questione contadina in relazione al passaggio di potere ai soviet tra l’aprile e l’ottobre del 1917; la terza al tema dell’«alleanza economica» tra proletariato e contadini tra il 1921 e il 1922.

Eugenio Curiel, di anni 33 – Un grande antifascista da non dimenticare

Eugenio Curiel, di anni 33.

Un grande antifascista da non dimenticare.

Gianni Fresu

A Sessantacinque anni dalla liberazione dal nazifascismo, in un contesto segnato da una inarrestabile emergenza democratica che ha molti punti di contatto con la capitolaziona dello Stato liberale negli anni Venti, è tutt’altro che retorico soffermarsi sul significato e sul valore della Resistenza. Tra le figure dimenticate di quella pagina di storia che riscattò il popolo italiano dall’infamia del fascismo si può annoverare quella del giovane partigiano Eugenio Curiel, che fu insieme scienziato e combattente per la liberta’. Curiel, nato a Trieste nel 1912 da una famiglia benestante di religione ebraica, dopo l’iscrizione in ingegneria a Firenze e il politecnico a Milano si laurea a Padova nel 1933 con il massimo dei voti in fisica e matematica con una tesi sulle disintegrazioni nucleari, a soli 21 anni, quindi inizia a lavorare all’Università come assistente. Nonostante la sua formazione e attività scientifica il giovane Curiel trova negli studi filosofici uno stimolo nuovo e totalizzante che lo porta prima ad avvicinarsi al materialismo storico e poi all’antifascismo militante, iscrivendosi al Partito comunista nel 1935. Nel 1936 avvenne la prima presa di contatto di Curiel con il Centro Estero del PCd’I grazie a un amico studente alla Sorbona, a Parigi, in un contesto segnato dai fermenti politici dell’antifascismo e dalla mobilitazione internazionale in difesa della Spagna repubblicana. Prima di partire discusse a lungo dell’organizzazione di una attività clandestina con i suoi compagni a Padova. Tuttavia, dopo il suo rientro da Parigi, orientò i suoi compagni ad un lavoro legale di massa attraverso la penetrazione nelle stesse organizzazioni sociali del regime tra lo sconcerto della cellula comunista composta di giovani che si aspettavano ben altro tipo di azione. Così, ricorda l’episodio Renato Mieli:

ci spiegò anzitutto il carattere di classe della dittatura fascista. Come avremmo potuto un giorno liberarcene, se non avessimo prima capito quali erano le energie reali, capaci di abbattere il fascismo nel nostro Paese, e se non fossimo riusciti poi ad organizzarle? Questa forza liberatrice non è rachiusa in una «élite» di intellettuali, essa è nella classe operaia e nelle sue alleanze con le masse nelle campagne e con quella parte di borghesia prgressiva. Chi vuole la liberazione dal fascismo, deve incominciare col volere la liberazione del di tutte queste forze dai vincoli che le soffocano. Esistono delle profonde contraddizioni che il regime di Mussolini non può assolutamente risolvere. Si tratta di non restare al di fuori di un processo storico e di inserirvisi, al contrario, attivamente per far fermentare dall’interno quelle energie che affretteranno la disfatta dei nemici del popolo1

A partire da questa indicazione il gruppo si inserì nei GUF e già nel 1937 il giovane intellettuale assunse la responsabilità della pagina sindacale del “Bo”, il giornale universitario di Padova. Ciò favorì una penetrazione di giovani antifascisti nella redazione, lo svilpparsi di un fermento politico culturale nuovo e l’attivazione di energie vitali poi rivelatisi determinanti nel corso della Resistenza. Le lunghissime discussioni sui temi da trattare si spostarono dalla redazione alle fabbriche per l’intuizione di Curiel che propose di confrontare preventivamente le questioni con gli stessi operai. Iniziativa anch’essa importantissima per consentire a quel gruppo la costruzione di legami sociali solidi nel mondo del lavoro. Nel 1938 Curiel, estromesso dall’Università per la promulgazione delle leggi raziali, si trasferisce a Milano, dove prende contatti con il Centro interno socialista e con vari gruppi antifascisti. In clandestinità dedica oramai tutta la sua esistenza alla militanza, viene arrestato varie volte dalla polizia svizzera per la sua attività antifascista e comunista, a Milano il 23 giugno del 1939 viene arrestato da agenti dell’Ovra. Sconta qualche mese nel carcere di San Vittore, poi il processo e la condanna a cinque anni di confino a Ventotene dove mette in piedi una sorta di università popolare per i reclusi ed anche per alcuni abitanti del luogo. Di quell’esperienza rimangono gli appunti delle sue lezioni a molti futuri quadri della Resistenza. Tutti coloro che ebbero modo di conoserlo ricordano Curiel per lo spessore morale e intellettuale ma anche per l’instancabile impegno militante. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio del ’43 il Gran Consiglio del fascismo vota l’ordine del giorno che porta all’arresto di Mussolini, un mese dopo Curiel viene liberato dal confino e torna in Veneto dove riprende i contatti con amici e compagni lavorando da subito all’organizzazione della Resistenza armata contro l’occupazione nazifascista. Rientrato a Milano ha un ruolo di primo piano nella redazione de «L’Unità» e della rivista «La nostra lotta», stampate e diffuse clandestinamente, diventa il «partigiano Giorgio» e fonda l’organizzazione antifascista “Fronte della Gioventù” che all’inizio del 1945 contava gia’ circa 15mila aderenti. Curiel cadde il 24 febbraio del 1945, a due mesi dalla liberazione di Milano e ad appena 33 anni, ucciso da una banda di fascisti che dopo avergli sparato per strada lo finì dentro un portone nel quale si era rifugiato. Dopo una medaglia d’oro al Valor militare, una lapide e un bellissimo inno partigiano a lui dedicato, nelle miserie dell’italietta della «concordia nazionale», l’oblio ne ha praticamente cancellato la memoria. Curiel, scienziato, comunista e combattente, nonostane la militanza, ebbe anche il modo di sviluppare una originale e matura riflessione politica, a lui si deve ad esempio l’elaborazione della «democrazia progressiva», una concezione Togliatti fece propria nell’immediato dopoguerra facendola divenire l’asse strategico del “partito nuovo”. Oggi nessuno si occupa più di questo giovane comunista morto per liberare il suo Paese, un militante determinante in una lotta di cui non ebbe la fortuna di vedere i frutti nella festa del 25 aprile. Bisognerebbe invece non solo ricordarlo ma riprendere gli studi dedicati alla sua vita e alla sua opera, personalmente mi impegno a farlo, nella convinzione che riportare alla luce questa straordinaria testimonianza di impegno e militanza non sarebbe semplice opera di “archeologia politica”.

1 Quaderni di Rinascita. Trenta anni di vita e lotte del PCI, Roma, Istituto Poligrafico, pag. 187.