Il tempo delle scelte di campo

Il tempo delle scelte di campo.

Di Gianni Fresu (Segretario regionale PRC) 16 marzo 2010

Delineare le prospettive politiche dell’attuale fase è complesso, perché gli esiti possibili di questa crisi sono molteplici e difficilmente prevedibili. Quella che investe il nostro paese e la nostra regione non è infatti solo una crisi economica ben lontana dall’esaurirsi, è una crisi delle classi dirigenti e degli assetti istituzionali. Possiamo tuttavia fare delle valutazioni su un’epoca che con questa crisi sembra al tramonto e da questo trarre delle valutazioni rispetto al futuro. La fine della cosiddetta “Prima Repubblica” era avvenuta sull’onda di due principi che avrebbero dovuto trasformare in positivo il paese: in primo luogo, si affermava che la trasformazione del sistema politico in senso maggioritario e bipolare avrebbe creato maggior efficienza legislativa, capacità di rappresentanza democratica e persino minor corruzione del sistema politico; in secondo luogo, si affermava che con le privatizzazioni, le liberalizzazioni e la deregolamentazione del mercato del lavoro si sarebbe ottenuta una maggiore democrazia economica e la liberazione di enormi risorse da investire in produzione e nuova occupazione. Per spiegare quanto la prima previsione si sia rivelata fallace basta affidarsi alla minuta cronaca politica e giudiziaria di questi giorni, mentre per mostrare i veri effetti delle politiche economiche perseguite ci vorrebbe un trattato. Per stare in Sardegna, se la stagione degli investimenti pubblici si chiuse con uno stato patologico, la successiva stagione dominata dal dogma dell’iniziativa privata e delle leggi di mercato si è rivelata ancora più fallimentare. I processi di apertura ai privati si sono limitati ad un vergognoso assalto ai finanziamenti e alle agevolazioni pubbliche per accaparrarsi quel che restava della piattaforma industriale dell’isola o per progettare effimere attività produttive mai decollate dopo aver incamerato tutti i sussidi immaginabili. Per ragioni di spazio non mi è consentito trattare dei risultati delle politiche de redditi, degli effetti del patto di stabilità, delle ipocrisie insite nelle norme europee sulla concorrenza, ma anche in questo caso basta guardarsi attorno per comprendere quanto il quadro complessivo sia deficitario sotto ogni punto di vista. A fronte di entrambi versanti, le forze democratiche e di progresso possono sperare di riassumere un ruolo propulsivo e invertire la tendenza, solo divenendo realmente alternative alle destre. Anziché seguire Berlusconi sul terreno a lui confacente del bipartitismo, è necessario favorire il pluralismo delle forze democratiche e di sinistra sforzandosi di costruire una base di valori e obiettivi comuni. Questo può avvenire attraverso scelte di campo finalmente chiare nelle quali la tutela degli interessi popolari, delle funzioni sociali dello Stato, della difesa della Costituzione non siano più in discussione. La crisi ha messo a nudo le iniquità dei dogmi liberisti e la malafede delle forze interessate a mantenerli in vigore, è dunque tempo per rilanciare senza timidezze il tema di una nuova stagione di intervento e programmazione del pubblico in economia, di controllo pubblico del credito, di revisione profonda delle politiche comunitarie. In un contesto segnato dal disfacimento della piattaforma produttiva sarda e dal disarmo dei suoi settori economici strategici, con il conseguente corollario di disoccupazione ed espansione delle fasce di povertà ed esclusione sociale, occorre porre da subito il problema di una alternativa seria, credibile e dal profilo sociale chiaro al peggior governo regionale che la storia autonomistica della Sardegna abbia mai conosciuto. Non ci convince affatto l’idea dell’unità indistinta di un fantomatico “popolo sardo” nel quale si trovino a fianco sfruttatori e sfruttati, speculatori e defraudati, forze di maggioranza e opposizione. Il solo bipolarismo che ci interessa è quello tra forze che rappresentano modelli sociali e culturali realmente diversi e distinti, senza trasformismi e senza ambiguità.

ASSEMBLEA REGIONALE FEDERAZIONE DELLA SINISTRA – Relazione introduttiva di Gianni Fresu

ASSEMBLEA REGIONALE FEDERAZIONE DELLA SINISTRA

CAGLIARI, 12, 12 2009

Relazione introduttiva di Gianni Fresu

 

Finalmente si parte, la Federazione prende vita e cessa di essere solo un’idea. Ciò avviene in un contesto oggettivamente difficile, nel quale sembra essere giunta a compimento l’opera di distruzione delle organizzazioni autonome di classe delle lavoratrici e dei lavoratori e con essa il progressivo restringimento degli spazi di democrazia politica, sociale ed economica conquistati in un secolo di lotte. Sicuramente tutto questo è il risultato di una lunga guerra che ha impegnato sul piano culturale e politico le forze del capitalismo mondiale, ma in esso rientra anche il carico di errori commessi dalla sinistra. Proprio in coincidenza con questo obiettivo storico delle forze conservatrici si è però determinata una gigantesca crisi del modo di produzione capitalistico, con proporzioni e profondità che non si vedevano dal periodo tra le due guerre.

 

La natura della crisi

Una crisi del capitalismo in quanto tale, con i suoi rapporti di produzione, sfruttamento e le sue modalità distorte di appropriazione delle ricchezze, non una semplice difficoltà del cosiddetto neoliberismo e del suo sistema finanziario. Ma la crisi ha radici remote, ben precedenti al crollo delle borse. L’attuale inabissarsi dei dati sui consumi, che tanto allarma Berlusconi, è il frutto dell’autentica rapina operata a danno dei redditi da lavoro dipendente nell’ultimo ventennio, con lo spostarsi del 4% della ricchezza prodotta dal monte salari ai profitti delle imprese. L’Italia è il sesto tra i paesi OCSE ad avere una distribuzione del reddito diseguale: tra il 1993 e il 2008 a fronte di una crescita della produttività del 14,3%, solo il 3,8% è stato ridistribuito al lavoro. A questa condizione catastrofica ci hanno condotto le scellerate politiche dei redditi gestite con continuità dai governi tecnici del 92-93, quelli di centro sinistra e quelli della destra. Una rapina che non è avvenuta solo attraverso la cancellazione della scala mobile e la compressione salariale coatta, nella fase 1993-2008 per risanare il debito dello Stato, il sistema fiscale ha drenato gran parte delle sue risorse proprio dai lavoratori dipendenti non certo dai profitti e dalle rendite. È stato calcolato che lo Stato si è avvantaggiato di una somma pari a112 miliardi di euro, tra maggiore pressione fiscale e mancata restituzione del fiscal drag. Tra il 1995 e il 2006 i profitti netti sono cresciuti di circa il 75% mentre i salari solo il 5,5%. Oggi assistiamo all’ennesimo scippo del TFR, 3,1 miliardi di euro versati da tre milioni di lavoratori sottratti dalle casse dell’INPS per coprire un terzo dell’intera manovra finanziaria. Questo ennesimo esempio di finanza creativa di Tremonti, in una finanziaria scandalosa che ha il merito di scontentare tutti, viene impiegato per mere spese correnti neanche per investimenti produttivi o grandi interventi generali. Ciò la dice lunga sullo stato delle Finanze nel nostro paese.

La Federazione della Sinistra, una risposta di classe alla crisi organica del capitalismo

Comitato Politico Nazionale PRC

Roma 28, 29 novembre 2009

Intervento di Gianni Fresu

La Federazione della Sinistra, una risposta di classe alla crisi organica del capitalismo.

 

Se oggi, a fronte della liquefazione di Sinistra e libertà, rinunciassimo ad esercitare un’egemonia più ampia a sinistra, riaffermando la semplice autosufficienza della rifondazione comunista faremmo un errore strategico madornale. La Federazione della sinistra coniuga la necessità dell’unità a sinistra con l’esigenza di evitare scorciatoie organizzative liquidatorie della nostra soggettività. Chi paragona l’esperienza fallimentare della Sinistra arcobaleno con la Federazione sbaglia profondamente per varie ragioni: 1) in questa esperienza i comunisti non sono una semplice “tendenza culturale” ma la forza prevalente, come conferma del resto lo stesso simbolo adottato; 2) la Federazione nasce e si struttura con un netto profilo di alternatività e autonomia dal PD; 3) essa ha un inequivocabile dna sociale anticapitalista. L’esigenza di una più ampia unità a sinistra, costruita a partire da chiari contenuti politici e programmatici, non dall’idea volontaristica di creare un unico e indistinto partito della sinistra senza aggettivi, è dettata dalle condizioni soggettive ed oggettive del nostro agire politico. Ci viene chiesta a gran voce dal nostro stesso popolo, ed è al contempo indispensabile per tornare ad essere incisivi e utili alle classi subalterne. Quella attuale è una crisi organica e fasi di questo tipo, da che esiste il capitalismo, non danno luogo a momenti progressivi di ampliamento dei diritti e conquiste per il mondo del lavoro. Le crisi organiche producono rivoluzioni passive, vale a dire processi autoritari di involuzione delle relazioni sociali e politiche e ristrutturazioni violente del modo di produzione, finalizzate a ottenere maggiori remunerazioni del capitale ed una ancora maggiore condizione di subalternità delle classi sfruttate. Da un lato assistiamo attoniti al quotidiano vilipendio delle regole democratiche sancite dalla costituzione, dall’altro vediamo giorno dopo giorno quanto la crisi stia favorendo un consolidamento e ampliamento dei rapporti di dominio da parte delle classi sfruttatrici. Dopo venti anni di rapina sui redditi da lavoro dipendente, a fronte della crescita di produttività del lavoro, fatturato e profitti delle imprese, i padroni prendono la palla al balzo per avviare le procedure di fallimento, delocalizzare le produzioni all’estero, licenziare per poi riassumere con contratti di lavoro precario. La crisi si sta rivelando un vero affare per i padroni e le vertenze che quotidianamente scoppiano in tutta Italia lo confermano. La Sardegna in particolare vive un processo di desertificazione industriale disarmante. Già oggi la parte preponderante della nostra economia è composta di commercio e servizi, ciò nonostante non c’è distretto produttivo che non sia caratterizzato da dismissioni che mettono in luce le ipocrisie e le acrobazie dialettiche dei profeti del liberismo. A Iglesias opera un’impresa, la Rockwool che – a fronte di un attivo di bilancio, di un mercato consolidato, di impianti all’avanguardia e di finanziamenti e agevolazioni pubbliche di ogni sorta – dall’oggi al domani decide di chiudere, licenziare e trasferire la produzione nei Balcani.

E che dire dell’atro caso del Sulcis che ha attirato l’attenzione nazionale? La Sardegna vive il paradosso di essere autosufficiente sul piano energetico ma di pagare un costo per l’erogazione del servizio maggiore di qualsiasi altro distretto produttivo. Così l’intervento pubblico per promuovere tariffe agevolate è ora sotto il giudizio delle istituzioni europee per infrazione delle norme sulla concorrenza, da ciò la scusa per chiudere tutto e mandare a casa gli operai. Viene spontaneo domandarci, per quale ragione è stato possibile utilizzare danaro pubblico per salvare le banche sull’orlo del baratro senza che l’Unione europea avesse nulla da dire in merito alle norme sulla concorrenza? Per quale ragione Germania e Francia sono state in grado di fare massicce iniezioni di capitali pubblici ad un sistema di grandi imprese traballante senza che nessuno opponesse le obiezioni oggi sollevate per l’Alcoa? Come mai per salvare Alitalia il governo non ci ha pensato un minuto ad usare fiumi enormi di danaro pubblico e ad esercitare tutto il suo potere in sede comunitaria per non avere problemi, mentre ora si limita ad un ridicolo quanto inutile balbettio? Tutto questo ci chiarisce senza infingimenti che quando sono in gioco forti interessi capitalistici e i rispettivi governi nazionali decidono di tutelarli non ci sono norme sulla concorrenza o patti di stabilità che tengano. La crisi mette a nudo le iniquità dei dogmi liberisti e la malafede delle forze interessate a mantenerli in vigore. La federazione può costituire l’alternativa capace di rilanciare senza timidezze il tema di una nuova stagione di intervento e programmazione del pubblico in economia, di controllo pubblico del credito, di revisione profonda delle politiche comunitarie. Un ruolo che non può certo essere assolto da PD o IdV che in Parlamento europeo hanno sempre votato a favore di tutte le normative liberiste. È dunque la realtà concreta, segnata dal costante peggioramento delle condizioni di vita e lavoro delle classi subalterne, a spingerci verso uno scatto in avanti per mutare i rapporti di forza. La Federazione tenta di farlo su presupposti politici, sociali e organizzativi che non annacquano la questione comunista nel nostro paese, semmai la rimettono in gioco facendola uscire dall’angolo in cui ci hanno e ci siamo cacciati negli anni passati.