Stato, società civile e subalterni in Antonio Gramsci

Convegno Internazionale di studi

GRAMSCI IN ASIA E AFRICA

Cagliari 12-13 febbraio 2009

Dipartimento di Studi storico politico internazionali dell’Università di Cagliari

 

Stato, società civile e subalterni in Antonio Gramsci.

Di Gianni Fresu

 

Nell’ambito dei cosiddetti studi post-coloniali e subaltern studies, sebbene tra i due orientamenti sia giusto fare le opportune distinzioni, l’attenzione verso alcune fondamentali categorie gramsciane, Stato, società civile e gruppi subalterni, è di primaria importanza. Iain Chambers1 parla del grande salto compiuto nel pensiero critico occidentale da Gramsci e ri-elaborato da Said, in ragione del quale la lotta politica e culturale non si fonderebbe sul rapporto tra tradizione e modernità ma attraverso la dialettica tra «parte subalterna e parte egemonica del mondo». In essa risiede la convinzione che la cultura giochi un ruolo determinante nella definizione degli assetti di dominio e nella costruzione dei blocchi storico-sociali2. A partire da questa consapevolezza e dalla definizione del concetto di subalterno, Gramsci è presente costantemente negli studi post-coloniali, a volte anche in modo approssimativo e incoerente, attraverso la traslazione delle sue categorie, dalla dimensione storica e territoriale italiana a quella planetaria nel rapporto tra Nord e Sud del mondo o più precisamente nella condizione di subalternità imposta ad esso dall’Occidente.

A partire dalle profonde trasformazioni globali dei rapporti di sfruttamento, secondo alcuni tra i più celebrati autori di tali filoni di ricerca, il concetto di subalternità avrebbe subito un’evoluzione che sancisce una fuoriuscita dai canoni concettuali del cosiddetto «marxismo ortodosso»3. In questo modo, la questione sarebbe passata da un contesto segnato dal conflitto capitale/lavoro, a una dimensione di razza, etnia e territorio, oltre che di genere4. L’importanza della dimensione spaziale dei rapporti di dominio ed egemonia, la caratterizzazione geografica o territoriale del concetto di subalternità sarebbe stata presente già in Gramsci nella definizione del terreno comune tra masse contadine del Mezzogiorno e proletariato del Nord, così come sarebbe presente nel rapporto Oriente/Occidente. Non spetta alla mia relazione sviscerare gli assunti concettuali di tali orientamenti scientifici né mostrarne gli eventuali elementi contraddittori, bensì esporre, per quanto possibile, in via sintetica e chiara il rapporto organico che sussiste nell’opera di Gramsci tra quelle categorie fondamentali. In via preliminare si può però dire che alcuni degli utilizzi incoerenti delle categorie gramsciane, che talvolta ho riscontrato nei subaltern studies, e il fraintendimento della loro valenza politica, poggiano non solo sul fatto che spesso si sia arrivati a Gramsci attraverso letture di seconda mano, ma anche al loro utilizzo parziale, decontestualizzato dall’opera e dalla più complessiva attività politica dell’intellettuale sardo. In secondo luogo, tali letture omettono di trattare, o spesso non conoscono, tutto un dibattito teorico di estrema importanza nell’elaborazione concettuale di Gramsci: il contrasto tra materialismo dialettico e materialismo determinista, tra la concezione del marxismo come sintesi organica dell’economia politica inglese, del socialismo utopistico francese e della filosofia tedesca e il marxismo inteso nella sua sola dimensione storica e veicolato attraverso il positivismo e i canoni delle scienze naturali applicati meccanicisticamente alla storia dell’umanità. Infine, esse non tengono in alcun modo in conto dell’importanza dell’opera di Lenin per l’intellettuale sardo. Come cercherò di spiegare, se non si tiene conto del rapporto Lenin-Gramsci le categorie di egemonia, blocco storico, classi subalterne risultano solo parzialmente comprensibili. Stato, società civile e subalterni in Gramsci sono categorie strettamente e organicamente intrecciate tra loro, una trattazione per parti sarebbe praticamente impossibile. Oltre a questo, è un errore ritenere che esse si ritrovino in via esclusiva nella sola “produzione matura” dei Quaderni, al contrario, c’è una continuità tra l’elaborazione pre e post 1926 filologicamente rintracciabile sia negli scritti “giovanili” sia nei continui richiami espliciti dei Quaderni all’esperienza precedente5.

 

 

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