Il cuore pulsante degli studi gramsciani in Brasile. («L’Unione Sarda», 19/06/2015)

Il cuore pulsante degli studi gramsciani in Brasile.

Gianni Fresu

«L’Unione Sarda», 19/10/2015

La biografia di Antonio Gramsci è segnata dal dramma della dittatura, non solo per la carcerazione che lo portò alla morte, ma perché il crollo delle istituzioni liberali e del movimento operaio lo spinsero a indagare le ragioni più profonde di quella sconfitta e le origini storiche del fascismo. Da questo travaglio nasce un’opera intimamente problematica e complessa come i Quaderni del carcere. Anche in questa premessa stanno probabilmente le ragioni del successo di Gramsci in Brasile, perché la diffusione crescente della sua opera si lega strettamente anche al dramma del colpo di Stato militare del 1964, destinato a durare come in Italia venti lunghi anni. Poco dopo il Golpe tre giovani intellettuali destinati a un ruolo importante, Carlos Nelson Coutinho, Luiz Mario Gazzaneo e Leandro Konder, dibatterono a Rio sulla necessità di tradurre e pubblicare Gramsci, nella stessa direzione si muoveva l’editore della rivista «Civilização Brasileira», già intenzionato a intraprendere la non facile avventura. Così, nel 1966, iniziò la traduzione e pubblicazione della sua opera, bruscamente bloccata nel 1968 dal decreto liberticida AI5, responsabile del terrore repressivo che eliminò ogni dissenso e travolse più di una generazione nel vortice di sparizioni, omicidi, torture o, nella migliore delle ipotesi, l’esilio. Ma come il Tribunale speciale fascista non riuscì a “impedire al cervello di Gramsci di lavorare per venti anni”, così la dittatura brasiliana non poté sradicare l’interesse crescente nei suoi confronti. Al contrario, divenne per diverse generazioni uno stimolo di resistenza intellettuale alla brutalità del regime e, insieme, una chiave di lettura per decifrare i processi di modernizzazione nazionali e comprenderne razionalmente la storia politica, economica e culturale. Così negli anni Settanta, alle prime avvisaglie di crisi della dittatura, Gramsci tornò prepotentemente nel dibattito politico come punto di riferimento per le lotte contro il regime e, attorno al suo pensiero, si sviluppò un’intensa attività scientifica e didattica nelle diverse università brasiliane, da allora mai interrottasi. La diffusione internazionale delle categorie gramsciane scaturisce da esigenze di comprensione della realtà concrete. Non si tratta dunque di uno studio per puro erudimento, bensì di un utilizzo consapevole, finalizzato a comprendere e dare risposte ad alcune contraddizioni storiche fondamentali nella vita culturale, sociale e politica di diversi Paesi. Ciò vale particolarmente per il Brasile, dove l’opera di Gramsci è studiata sistematicamente da oramai cinque decenni nelle più diverse discipline scientifiche: storia, filosofia politica, antropologia, critica letteraria, pedagogia, teologia, scienze sociali. L’esigenza di dare carne e ossa alle categorie concettuali, ossia tradurle nazionalmente, è del tutto coerente con lo spirito dell’opera di Gramsci e con la sua aspirazione a evitare l’astrattezza e la genericità delle affermazioni ideologiche. Il Brasile di oggi costituisce uno dei laboratori più attivi e stimolanti nel panorama internazionale degli studi gramsciani, le sue categorie, entrate anche nel lessico politico, sono oggetto di indagine scientifica in misura forse maggiore, è triste sottolinearlo, del suo stesso Paese di origine. Così, a cinquantuno anni dall’incontro tra quei tre giovani, proprio a Rio de Janeiro, si sono dati appuntamento i gramsciani di tutto il Brasile. Dal 27 al 29 maggio, vecchie e nuove generazioni di studiosi si sono confrontate sui risultati delle ricerche nelle principali università nazionali, decidendo infine di costituire l’International Gramsci Society Brasil. L’obiettivo è dare ancora più organicità e proiezione internazionale al lavoro scientifico qui sviluppato e trasformare il 2017, ottantesimo anniversario della morte di Gramsci, in un appuntamento storico per gli studi gramsciani, con l’ambizione di fare del Paese sudamericano uno dei centri nevralgici delle iniziative dedicate all’intellettuale sardo.

La questione meridionale va a Rio de Janeiro.

La questione meridionale va a Rio de Janeiro.

il manifesto”, 10 giugno 2015

Gianni Fresu

 L’intellettuale sardo al centro di un interesse sempre crescente nel paese sudamericano. E un forum di studiosi sancisce la nascita dell’International Gramsci Society Brasil, con progetti ambiziosi e sinergie fra le università

La for­tuna inter­na­zio­nale dell’opera di Anto­nio Gram­sci è un fatto noto, trat­tan­dosi, come si dice ritual­mente, dell’autore ita­liano più tra­dotto e stu­diato nel mondo insieme a Dante e Machia­velli. Ma al di là di que­sta infor­ma­zione gene­rale, quasi auto­con­so­la­to­ria vista la con­di­zione attuale di disarmo cul­tu­rale nazio­nale, le ragioni di tale for­tuna sono ai più ancora poco cono­sciute o, meglio, igno­rate.
Il Bra­sile è da diversi anni una delle realtà più attive a livello inter­na­zio­nale negli studi gram­sciani, qui l’intellettuale sardo fin dai primi anni Ses­santa fu oggetto di un inte­resse cre­scente e di studi spe­cia­li­stici. La tra­du­zione e pub­bli­ca­zione della sua opera comin­ciò nel 1966 e solo l’inasprirsi della dit­ta­tura nel 1968, frutto del colpo di stato mili­tare del ’64, riu­scì a inter­rom­pere tem­po­ra­nea­mente un pro­cesso di dif­fu­sione e inter­pre­ta­zione crea­tiva come quella bra­si­liana. Negli anni Set­tanta, alla vigi­lia della crisi finale del regime, Gram­sci tornò pre­po­ten­te­mente non solo nel dibat­tito politico-sociale, ma anche e soprat­tutto nelle uni­ver­sità, dando vita a un feno­meno che alcuni defi­ni­rono vera e pro­pria «moda intellettuale».

Dalla sto­ria alla filo­so­fia poli­tica, dalla peda­go­gia all’antropologia, dalla geo­gra­fia alle rela­zioni inter­na­zio­nali, dalla cri­tica let­te­ra­ria alla teo­lo­gia, pra­ti­ca­mente nes­suna disci­plina delle scienze sociali e umane fu immune dal con­ta­gio di que­sto inte­resse cre­scente. Non si trattò di una moda pas­seg­gera, per­ché tale pro­cesso si inten­si­ficò nei decenni suc­ces­sivi e, oggi, nelle prin­ci­pali uni­ver­sità pub­bli­che esi­stono gruppi di ricerca inter­di­sci­pli­nari, corsi di lau­rea, spe­cia­liz­za­zione post lau­rea e di dot­to­rato dedi­cati a Gram­sci o nei quali comun­que l’intellettuale sardo è l’autore di rife­ri­mento essenziale.

A coro­nare que­sto per­corso pro­gres­sivo di stu­dio, dif­fu­sione e appli­ca­zione con­creta delle cate­go­rie del «nostro» in Bra­sile è inter­ve­nuto un avve­ni­mento desti­nato a segnare la sto­ria degli studi gram­sciani nel mondo. Trai il 27 e il 29 mag­gio, nel Col­le­gio di alti studi del forum di scienza e cul­tura dell’Università fede­rale di Rio de Janeiro, si sono riu­niti gli stu­diosi gram­sciani di tutto il paese.
Un semi­na­rio intenso, fina­liz­zato a met­tere in rela­zione i risul­tati delle ricer­che scien­ti­fi­che, scam­biare infor­ma­zioni e espe­rienze tra i diversi rami disci­pli­nari, con­clu­sosi con la nascita dell’International Gram­sci Society Bra­sil. L’Igs Bra­sil nasce con lo scopo di favo­rire le rela­zioni tra gli stu­diosi ope­ranti nel paese e svi­lup­pare le ini­zia­tive scien­ti­fi­che, edi­to­riali e di con­fronto legate al pen­siero di Anto­nio Gramsci.

L’intellettuale sardo è oggi uno degli autori fon­da­men­tali in Bra­sile, come nel resto dell’America Latina, non solo nell’accademia, ma nella lotta poli­tica e nella vita di realtà sociali come il Movi­mento Tra­ba­lha­do­res Sem Terra. Alcune sue cate­go­rie come «rivo­lu­zione pas­siva», «ege­mo­nia» e «sov­ver­si­vi­smo rea­zio­na­rio delle classi diri­genti», hanno tro­vato un’applicazione ana­li­tica sor­pren­dente in una realtà sto­ri­ca­mente domi­nata da pro­cessi di moder­niz­za­zione dall’alto – con ricor­renti sospen­sioni delle libertà costi­tu­zio­nali e colpi di Stato auto­ri­tari – come quella brasiliana.

Le ana­lisi con­te­nute nella Que­stione meri­dio­nale e nei Qua­derni sui rap­porti di sfrut­ta­mento semi­co­lo­niale tra Nord e Sud nella sto­ria d’Italia, quelle sui subal­terni e la fun­zione degli intel­let­tuali negli assetti di domi­nio ed ege­mo­nia, sono oggi uti­liz­zate per rileg­gere le vicende della sua sto­ria colo­niale e com­pren­dere le con­trad­di­zioni sociali e cul­tu­rali ancora oggi pre­senti in que­sto paese.
In tutto que­sto si inse­ri­sce la nascita dell’Igs Bra­sil con pro­grammi molto ambi­ziosi e l’idea di ospi­tare qui, nel 2017, un grande evento inter­na­zio­nale attorno alla sua opera, valo­riz­zando il lavoro siner­gico di tutte le realtà uni­ver­si­ta­rie e degli stu­diosi che a Rio si sono incon­trati. L’obiettivo è chiaro, far com­piere un salto di qua­lità agli studi a lui dedi­cati e inten­si­fi­carne le con­nes­sioni internazionali.

Se, gra­zie alla ric­chezza e la dif­fu­sione inter­na­zio­nale del suo pen­siero, pos­siamo con­si­de­rarlo un cit­ta­dino del mondo, oggi (più che in pas­sato), con l’atto di nascita del 29 mag­gio dell’Igs Bra­sil, l’intellettuale sardo ha anche con­se­guito defi­ni­ti­va­mente la piena cit­ta­di­nanza ono­ra­ria di que­sto calei­do­sco­pico paese sudamericano.

 

 

I Colóquio Internacional de Filosofia Política & Diversidades, Uberlândia, 25 e 26 de maio 2015.

I Colóquio Internacional de Filosofia Política & Diversidades
Encontro será realizado nos dias 25 e 26 de maio no Campus Santa Mônica

O Programa de Pós-graduação e o Instituto de Filosofia da Universidade Federal de Uberlândia (UFU) promovem nos dias 25 e 26 de maio o “I Colóquio Internacional de Filosofia Política & Diversidades”. O encontro será no Anfiteatro A, do Bloco 5-O, do Campus Santa Mônica. Segundo a organizadora, a professora Maria Socorro Ramos Militão, a atividade se insere em um conjunto de eventos que vêm sendo desenvolvidos na área de filosofia política nos últimos quatro anos.

Os objetivos são proporcionar uma sólida formação filosófica aos alunos de graduação e pós-graduação e intensificar a integração entre eles; oferecer uma formação continuada aos professores do Ensino Médio; promover o intercâmbio dos estudantes e dos pesquisadores da Unidade Acadêmica com a comunidade filosófica brasileira e estrangeira; e consolidar a inserção do Instituto de Filosofia da UFU nos cenários nacional e internacional. Estão programados debates, mesas-redondas, conferências, minicursos e encontros com grupos e núcleos de pesquisa. Entre os convidados, estão  Fabio Frosini (Itália); Rocco Lacorte (Itália); Gianni Fresu (Itália); María Dolores Taramundi (Espanha) e Elsa Marisa Muguruza Dal Lago (Brasil).

PROGRAMAÇÃO

25 de maio

8h30 – Abertura

Dra. Maria Socorro Ramos Militão

Dr. Alexandre Tadeu Guimarães

Dr. Dennys Garcia Xavier

9 h – 11h – Palestras

Mediadora: Dra. Maria Socorro R. Militão

“Marxismo e diversidade”

Dr. Fabio Frosini (Itália)

“Labriola, Gramsci e o materialismo histórico italiano”

Dr. Giovanni Fresu (Itália-Marília-SP)

14h às 17h – Minicurso

Tema: “Fascismo, populismo, povo-nação (o fascismo e a nova política na sociedade de massa)”

Dr. Fabio Frosini (Itália)

17h30 às 18h30 – Sala Bloco U

Encontro Pibid-Filosofia e Profs. Ensino Médio

Local: Sala 1U-134 – Bloco U

Dra. Elsa Marisa Muguruza Dal Lago (IFBA)

19h – 21h30 – Palestras

Mediador: Dr. Alexandre T. Guimarães

“Filosofia política e gênero. O desafio da diversidade e do perigo da desintegração do sujeito emancipatório”

Dra. María Dolores M. Taramundi (Espanha)

“Da mulher ao feminino: erotismo, sexualidade e violência”

Dra. Georgia Amitrano (UFU)

“Africanidades e formação política”

Dra. Maria Socorro R. Militão (UFU)

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26 de maio

8h – 12h

Comunicações

14h às 17h – Minicurso

Tema: “Fascismo, populismo, povo-nação (o fascismo e a nova política na sociedade de massa)”

Dr. Fabio Frosini (Itália)

19h – 21h30 – Palestras

Mediadora: Dra. Maria Socorro R. Militão

“Hegemonia e a questão feminina em Antonio Gramsci”

Dra. Ana Maria Said (UFU)

“A dialética em Hegel e em Marx”

Dr. Rocco Lacorte (Itália)

“Filosofia, educação e interculturalidade”

Dra. Elsa Marisa Muguruza Dal Lago (IFBA)

Encontros com Grupos de Estudos

14h às 15h30

Grupos de Estudos – Direito

Dra. María Dolores M. Taramundi (Espanha)

Auditório do Escritório da Assessoria Jurídica Popular –

Bloco 5V (entrada pela Av. Segismundo Pereira)

16h às 17h30

Grupos de Estudos – Ciências Sociais

Local: Sala 1H-235 – Bloco H

Dra. María Dolores M. Taramundi (Espanha)

17h30 às 18h30 – Sala Bloco U

Grupos de Estudos do Marxismo (Filosofia e Ciências Sociais) Local: Sala 1U-134 – Bloco U

Dr. Giovanni Fresu (Itália)

Dr. Fabio Frosini (Itália)

http://www.comunica.ufu.br/noticia/2015/05/ufu-promove-i-coloquio-internacional-de-filosofia-politica-diversidades

Ofensiva reacionária impõe à esquerda italiana um grande esforço de reconstrução Entrevista com Gianni Fresu Por Marcos Aurélio da Silva* e Rita Coitinho*

Ofensiva reacionária impõe à esquerda italiana um grande esforço de reconstrução

Entrevista com Gianni Fresu por Marcos Aurélio da Silva* e Rita Coitinho**

“Principios”.

Revista teórica, política e de informação, n° 134, marzo 2015, (pp. 98-103)

É pouco conhecida, do público brasileiro, a trajetória do movimento comunista italiano. O PCI, que chegou a ser o maior partido comunista do Ocidente e desempenhou papel destacado na luta contra o fascismo e na consolidação democrática da Itália do pós-guerra, desintegrou-se completamente e hoje a luta dos comunistas italianos é para conseguir um mínimo de organização – o que se faz procurando colocar em marcha um movimento de reconstrução que unifique as forças em torno do Partido dos Comunistas Italianos (PdCI) e do Partido da Refundação Comunista (PRC). Antonio Gramsci, o maior expoente do antigo PCI, deixou uma obra inacabada, da qual, a maior parte em manuscritos e cartas, cuja interpretação e contribuição para o desenvolvimento do marxismo é reconhecida, mas ao mesmo tempo pouco compreendida. Muitos são os teóricos que reivindicam o pensamento de Gramsci, justificando as mais variadas interpretações, que vão do dogmatismo ao culturalismo e o liberalismo.
São interpretações incompletas, ou mesmo desonestas, afirma Gianni Fresu, pesquisador italiano filiado por 22 anos na Refundação Comunista, onde desempenhou tarefas de dirigente regional e nacional, Fresu já publicou seis livros na Itália, entre eles Lenin lettore di Marx: dialettica e determinismo nella storia del movimento operaio (Lenin leitor de Marx: dialética e determinismo na história do movimento operário), Il Diavolo Nell’Ampola. Antonio Gramsci, gli intellettuale e il partito (O Diabo na ampola. Antonio Gramsci, os intelectuais e o partido) e Eugenio Curiel: il lungo viaggio contro il fascimo(Eugenio Curiel: a longa viagem contra o fascismo). Seu percurso intelectual se desenvolveu em torno às disciplinas histórico-políticas, particularmente a história do movimento operário, com destaque para o pensamento de Antonio Gramsci.

Formado em História do Pensamento Político e doutor em Filosofia pela Universidade Urbino, sob a orientação de Domenico Losurdo, Gianni Fresu está atualmente no Brasil como professor visitante, na Faculdade de Ciências Sociais da Universidade Estadual Paulista (Unesp) de Marília. Ele é integrante do grupo de pesquisa “A cultura política no mundo do trabalho”, coordenado por Marcos Del Roio, e a partir do qual realiza uma pesquisa sobre a propagação do pensamento de Gramsci no Brasil através do trabalho de Carlos Nelson Coutinho. No intuito de apresentá-lo aos comunistas brasileiros e aos leitores dePrincípios, o convidamos para esta pequena entrevista, da qual ele participou com grande entusiasmo.

Confira a seguir a íntegra da entrevista:

Princípios – No seu livro Lenin, leitor de Marx, você afirma que a ideia de um Lenin dogmático e doutrinário é, na verdade, uma tese difundida pela ofensiva conservadora sucessiva à queda do Muro de Berlin. Por favor, fale um pouco sobre isso.
Gianni Fresu – Com o predomínio do modelo ocidental, após o fracasso do bloco socialista no Leste Europeu, a liquidação da herança teórica de Lenin passa a ser uma tarefa seguida com obstinação por grande parte do mundo político, acadêmico e cultural. Assim, entre a maioria dos historiadores do pensamento político, sociólogos, cientistas políticos, economistas ou simples jornalistas, prevalece a tendência de representar sumariamente Lenin como um “doutrinário” rígido e dogmático, que tinha a obsessão de abrigar a realidade numa camisa de força. O “drama do comunismo” seria, então, o resultado do fundamentalismo ideológico de Lenin e de sua pretensão de fazer nascer uma nova ordem a fórceps. O século XX tem sido descrito como o século dos horrores, das ditaduras e, nessa leitura apocalíptica, Lenin é representado como a origem do pecado, o diabo responsável pelas desgraças e os lutos de um século ensanguentado, incluído aí o fascismo. Por isso, uma das suas elaborações mais conhecidas, o imperialismo, tem sido combatida com tanta violência. O sinal desta ofensiva não é neutro, porque nasce da exigência de cancelar a dupla validade do imperialismo, não só pelo que tem representado na obra de desmistificação das formas de autorrepresentação do real, mas sobretudo pelos instrumentos de luta fornecidos aos povos subalternos. E me refiro em especial à luta pela libertação do domínio colonial na Ásia, África e América Latina no século XX. Há noventa anos da morte de Lenin, a necessidade de retornar às suas premissas filosóficas e à sua atividade política surge, em primeiro lugar, pela exigência de se evitar esses atalhos e começar um trabalho de investigação o mais sério e rigoroso possível. Para além da liquidação e também das interpretações apologéticas, tal retorno é fundamental, se temos a ambição de compreender o fato revolucionário que marcou profundamente a história da humanidade no século XX. Embora tenha sido definido como um “doutrinário dogmático”, podemos identificar um fio vermelho na atividade teórica e política de Lenin, e este está exatamente na recusa metodológica das orientações mais esquemáticas e rígidas do determinismo marxista, predominantes no movimento socialista, na passagem do século XIX para o XX.

Princípios – Uma de suas obras tratou do pensamento de Gramsci. Em que medida esta desconstrução de Lenin afeta também o pensamento político desse comunista italiano?
Gianni Fresu – Nas diferentes leituras sobre o intelectual da Sardenha se firmou uma tendência favorável à teoria da descontinuidade entre as reflexões de um primeiro Gramsci dirigente comunista, e de um outro, do período do cárcere. Uma ruptura entre a produção anterior e posterior a 1926: a primeira pertenceria ao Gramsci político, homem de partido, ou seja, um fanático comunista; a segunda ao Gramsci filósofo, maduro homem de cultura, e representaria a sua chegada à socialdemocracia. Assim, o conceito de hegemonia seria a prova de uma ruptura com Lenin. Esta tendência, originada de exigências mais políticas que científicas, se revelou sem rigor filológico, mostrando em pouco tempo todos os seus limites. Pelo contrário, a teoria de Lenin é uma premissa fundamental à definição da hegemonia. Assim, para ele, nos países capitalistas avançados é mais difícil fazer a revolução socialista, porque a sociedade burguesa tem instrumentos de controle e repressão sempre mais sofisticados, proporcionalmente ao próprio nível de desenvolvimento. Portanto, as massas se acham enquadradas nos esquemas da direção política, econômica e cultural da sociabilidade burguesa. Aqui está o eixo fundamental para Gramsci: nos países ocidentais o trabalho de preparação da revolução tinha que ser muito mais cuidadoso do que aquele no contexto russo. Diferentemente do que aconteceu na Rússia, no Ocidente o assalto ao poder estatal é inútil sem uma conquista hegemônica da sociedade civil. Este é o sentido das famosas notas sobre a “guerra de manobra” e “guerra de posição”. Segundo Gramsci, Lenin foi o primeiro a entender o problema, mas não teve como aprofundá-lo. Estas reflexões têm um valor muito importante para a ciência política porque abrem um campo de análise totalmente novo sobre as formas do poder político. No Caderno sete Gramsci escreveu:

“No Oriente o Estado é tudo, a sociedade civil é primitiva e gelatinosa; no Ocidente, entre Estado e sociedade civil, havia uma justa relação, e em qualquer abalo do Estado se percebia logo uma robusta estrutura da sociedade civil. O Estado era só uma trincheira avançada atrás do qual se situava uma robusta cadeia de fortalezas e casamatas; em medida diversa de Estado a Estado, sem dúvida, mas exatamente assim, isto pedia uma cuidadosa investigação de caráter nacional” (1).

E estas são as palavras de Lenin:

“Começar, sem preparação, uma revolução num país onde o capitalismo é desenvolvido, que tem dado, até o último homem, uma cultura e um método de organização democrático, é errado, é um absurdo” (2).
Princípios – Essa mesma desconstrução afeta hoje a figura política de Palmiro Togliatti, o grande dirigente do Partido Comunista Italiano, depois da morte de Gramsci?
Gianni Fresu – Togliatti foi o grande responsável pela unidade das forças democráticas contra o fascismo no movimento comunista, seja no famoso VII Congresso do Comintern, em 1935, seja no trabalho de construção unitária do Comitê de Libertação Nacional na Itália. Mas já o tinha sido antes, quando, em 1928, foi o único a valorizar a relação com Bukharin (já contrário à linha que igualava o fascismo à socialdemocracia); tanto assim que lhe foi tolhida a palavra. Ele transformou um pequeno partido de vanguarda no maior partido comunista do Ocidente, dando aos comunistas um papel central não só naquele sentido messiânico do “sol do amanhã”, mas na construção diária de uma democracia com as ambições de resolver as necessidades da igualdade tanto formal quanto substancial, isto é, não só a velha democracia liberal pré-fascista, mas um novo tipo de democracia social. Um quadro constitucional em que os trabalhadores teriam a tarefa de conseguir um papel de liderança no país através de um progressivo alargamento dos espaços da democracia social, política e econômica.
Se a Itália – apesar da “guerra fria” então em curso, e ao contrário dos outros dois países do Pacto Tripartite (Japão e Alemanha) – tinha uma Constituição nascida de um processo popular, e não emanada dos exércitos aliados, isso também se deve a ele. Togliatti foi o mais decisivo defensor da estreita união entre a perspectiva da futura democracia a construir e a imediata luta popular pela libertação nacional do fascismo, em um tempo em que muitas forças nacionais preferiam a imobilidade, esperando que os exércitos aliados libertassem a Itália. Por todas estas razões, 50 anos após sua morte, em um período de constante rebaixamento da Constituição de 1948, onde se busca voltar aos equilíbrios das antigas formas de representação nobiliárquicas, Palmiro Togliatti – tratado como “um cachorro morto” –, na realidade, ainda provoca muito medo. E por isso continua a ser objeto das mais absurdas e idiotas campanhas da imprensa, destinadas a representá-lo como o demônio do século XX italiano. Ao contrário, quanto mais estamos diante do desastre da pulverizada esquerda italiana – não só desprovida de uma visão orgânica do mundo, como também mais prosaicamente de um projeto político mínimo – tanto mais a sua figura deveria ser estudada com um pouco de mais atenção, pois em seu legado político e teórico podemos encontrar muito de tudo aquilo que está hoje faltando.
Os ataques a Togliatti em geral são imputáveis a certas releituras revisionistas da obra de Gramsci, sobre cujas cinzas se realiza o enésimo processo contra a história do Partido Comunista Italiano. Há uma categoria de estudiosos especializados em pesquisas sobre a suposta conversão política, quando não também religiosa, de Antonio Gramsci aos paradigmas do liberalismo. A bibliografia tendente a apresentar um Gramsci atormentado e levado a um pouso liberal no final da vida, no limite um socialdemocrata, é ampla – e, embora de valor científico sensacionalista, muito apreciada. A isso se acrescentam outras teses extravagantes, sempre de corte sensacionalista e nunca minimamente fundadas em fontes confiáveis, particularmente estimuladas pelos “grandes” jornais italianos e programas de televisão de divulgação histórica. Resumidamente, elas dizem: 1) Togliatti foi o carcereiro cruel de Gramsci; 2) as irmãs de Schucht e Piero Sraffa (ou seja, esposa e irmã e um íntimo amigo de Gramsci) eram agentes da KGB contratadas por Stalin para vigiá-lo; 3) Mussolini e as prisões fascistas defenderam, e de fato salvaram, Gramsci de seu próprio partido. Se fosse fidedigno o quadro destas interpretações, teríamos um Gramsci não só permanentemente perdido e atormentado, mas um homem tendencialmente ingênuo, vítima inconsciente de agentes duplos, da pérfida maldade traiçoeira de todas as pessoas que lhe estavam mais próximas. Ora, todos esses argumentos giram em torno da releitura forçada (obviamente nunca provada) de correspondências necessariamente cifradas; de meras suposições subjetivas não apoiadas em qualquer documento; de leituras banais e parciais dos escritos de Gramsci; e sobre a manifesta falsificação de documentos de arquivos.

Princípios – E Eugênio Curiel, intelectual que você estudou no livro Eugenio Curiel: a longa viagem contra o fascismo, que valores ele deixou na cultura comunista italiana?
Gianni Fresu – Embora seja a base da nossa Constituição republicana, poucas experiências históricas têm sido objeto de tamanha disputa como a luta partigiana (partidária) ocorrida entre 1943 e 1945. Já no dia seguinte à redescoberta da democracia, multiplicaram-se as tentativas para redimensionar o papel da Resistência na história da libertação nacional e, em particular, o peso específico do seu componente principal. Nos interstícios das remoções forçadas, ou das necessidades ligeiras de reescrever a história, permaneceram experiências coletivas e personalidades individuais de certo relevo, mas destinadas ao esquecimento. Entre elas está o jovem intelectual Eugenio Curiel, uma figura multifacetada, por seus interesses e inclinações intelectuais, que sacrificou sua própria vida à causa da libertação, como muitos de sua geração. Um homem, morto sem ter completado 33 anos de idade, que, apesar de sua curta passagem, deixou um legado de reflexão, análise, propostas e experiências de política concreta, digno da maior atenção. Por exemplo, ele foi um dos primeiros a desenvolver com continuidade e profundidade a categoria de “democracia progressiva”, tão importante na política de Palmiro Togliatti. Curiel foi formado e amadureceu nos anos da máxima expansão do regime de Mussolini, uma fase ainda atravessada por um clima de inquietação em um número crescente de jovens, educados na doutrina do fascismo, mas profundamente insatisfeitos com suas realizações concretas.
Foi um intérprete e inspirador da “geração dos anos difíceis”, cumprindo um papel fundamental de ligação entre as necessidades dos jovens com aquelas dos antigos protagonistas da luta antifascista, em uma relação marcada pela solidariedade ativa e não pelo confronto de gerações. Não faltam exemplos na história de fraturas geracionais. No entanto, os resultados mais profundos em termos de renovação ocorreram quando entre as gerações antigas e novas se criou uma soldagem em torno das escolhas em jogo. A luta pela libertação do nazi-fascismo é um exemplo disso, até pelo irromper difuso de jovens crescidos no regime que, na clandestinidade, encontram um ponto de contato com os antigos protagonistas do antifascismo derrotados por Mussolini. Ele morreu na véspera da vitória final, num gélido fevereiro em Milão, sem ter podido ver as cores de uma primavera muita aguardada e para a qual tanto lutou: a libertação. Tendo visto e ajudado a acelerar o declínio da ditadura, ele não pôde apreciar o amanhecer de uma nova democracia, e talvez até mesmo neste particular esteja o fascínio de seu trágico destino, dramaticamente marcado pela violência do fascismo. Embora hoje quase completamente esquecido, Eugenio Curiel, em sua curta vida, deixou um sulco importante, tornando-se um ponto de referência para muitos jovens que entraram para o PCI a partir da Resistência e nas décadas após a libertação. Entre eles, Enrico Berlinguer, secretário da Federação da Juventude Comunista depois da Guerra, particularmente ativo na valorização e no estudo da obra de Curiel.

Princípios – Como você vê as perspectivas do movimento comunista europeu na atualidade, depois da socialdemocratização por que passaram tantos partidos históricos, entre eles o antigo PCI?
Gianni Fresu – A situação da esquerda de classe na Europa é muito difícil, mas o é seguramente ainda mais na Itália. O país que ostentava o maior e mais enraizado partido comunista do Ocidente, agora tem a pior e mais fraca esquerda de alternativa do continente. A ofensiva reacionária que definitivamente está destruindo o que resta da civilização do trabalho na Itália impõe à esquerda um esforço para reconstruir em novas bases um campo político como o nosso, de tal modo devastado que faz lembrar uma praga de gafanhotos.
Na esquerda, pelo menos há dois anos, estão em curso reuniões e conferências a partir da qual surgiram documentos e propostas de reconstrução. Agora seria o caso de se deslocar da etapa das propostas para a organização, evitando deixá–las definhar em um debate que sempre ameaça a si mesmo. Pessoalmente, acredito que devemos agir em dois níveis: 1) colocar sob novas bases, em termos positivos e finalmente unitários, a questão comunista em nosso país, superando os problemas políticos de ineficiência causada pela diáspora e a pulverização da iniciativa ao longo das últimas duas décadas; 2) construir uma frente mais ampla de luta da esquerda contra as políticas sociais da União Europeia, no âmbito da qual os comunistas devem ter um papel pró-ativo e não de retaguarda. Os dois termos são essenciais e devem andar juntos, pois cada um deles tomado individualmente não seria suficiente: só a reconstrução da primeira, em si, não serviria, em uma fase em que se precisa primeiro aumentar as lutas sociais e, portanto, reconstruir uma teia de relações mesmo fora de seu campo estritamente ideológico; menos ainda serviria dissolver os comunistas em um novo sujeito de esquerda, genérico e sem adjetivos, transformando a sua presença em uma “tendência cultural”, porque inevitavelmente ainda se encontraria fraco e disperso, sofrendo a direção de outros, em vez de exercer a hegemonia.
Embora cada contexto seja o resultado de sua peculiaridade nacional e continental, na América Latina houve uma situação semelhante, se não pior, depois de décadas de derrotas, retrocessos e ditaduras sangrentas para os quais os comunistas pagaram um preço muito alto. Bem, na América Latina foi possível inverter a tendência e reconstruir um campo de classe em nível continental, capaz de pôr novamente na ordem do dia o tema do socialismo, colocando em sérios apuros a intromissão do imperialismo norte-americano na região, justamente porque se buscou manter intimamente unidos esses dois termos de uma mesma equação. Basta pensar no Foro de São Paulo nos últimos anos e nas muitas experiências na Bolívia, Venezuela, Chile e Argentina, onde as forças comunistas não se dissiparam, e ao mesmo tempo não se fecharam em suas fortalezas de certezas ideológicas. Mas esta é a mesma história dos comunistas na Itália, capaz de nos dar ideias de onde tirar inspiração. Diante do fascismo triunfante da década de 1930, os comunistas não escolheram nem dissolver-se em uma ampla frente unitária, nem seguir separadamente das outras forças antifascistas, mas trabalharam tenazmente para manter unidas as duas exigências: a autonomia dos comunistas; e a unidade com as outras forças antifascistas. Só assim os comunistas conseguiram exercer uma hegemonia mais ampla e assumir um papel positivo e pró-ativo, que permitiu um salto à frente, tanto no que diz respeito à força dos comunistas, quanto diante da luta antifascista. Por todas estas razões é que fui um dos signatários do apelo da “Associação para a reconstrução do Partido Comunista no quadro mais amplo da esquerda de classe.”

* Marcos Aurélio da Silva é professor dos cursos de graduação e pós-graduação em geografia da Universidade Federal de Santa Catarina (UFSC).

** Rita Coitinho é mestra em sociologia e doutoranda em geografia humana na Universidade Federal de Santa Catarina (UFSC).

NOTA
(1) GRAMSCI, A. Quaderni del carcere (Cardernos do Cárcere). Op. cit., p. 866.
(2) LENIN, V. I. Rapporto sulla guerra e sulla pace (Relatório sobre a guerra e sobre a paz),7 de março de 1918. III Congresso do PC(B)R. In: Opere complete, vol. XXVII. Op. cit., p. 85.

Intervista originale:

http://www.revistaprincipios.com.br/principios/component/content/article/34-noticias/364-ofensiva-reacion%C3%A1ria-imp%C3%B5e-%C3%A0-esquerda-italiana-um-grande-esfor%C3%A7o-de-reconstru%C3%A7%C3%A3o.html

 

Eugenio Curiel: alle origini della nostra democrazia repubblicana. Intervento al Convegno “La figura e il pensiero di Eugenio Curiel nel 70° della sua uccisione”

Eugenio Curiel: alle origini della nostra democrazia repubblicana.

Intervento di Gianni Fresu al Convegno “La figura e il pensiero di Eugenio Curiel nel 70° anniversario della sua uccisione”

Università Statale di Milano, 7 marzo 2015.

Il settantesimo anniversario della morte di Curiel si tiene in un contesto segnato da una ripresa di interesse verso la storia della Resistenza, testimoniato dall’uscita di studi e biografie di valore (quelle su Longo, Secchia, Colorni e Grieco solo per fare qualche esempio) dedicate a protagonisti di questa storia. All’interno di tale rinascita storiografica, dopo decenni di oblio, anche Curiel sembra finalmente suscitare una attenzione nuova, il vostro Convegno e altre iniziative analoghe nelle settimane passate, ne sono il segnale più evidente. Mi scuso con tutti voi per non essere presente in questo momento tanto importante, al quale tenevo particolarmente, ma ragioni di lavoro e di ricerca mi hanno portato molto lontano dalla mia terra, rendendo praticamente impossibile, oltre che costosissima, una mia eventuale trasferta italiana. Per ragioni di tempo, e vista la forma della mia comunicazione, in questo intervento mi limiterò a svolgere alcune brevi considerazioni di carattere generale sul percorso politico-esistenziale dell’intellettuale triestino, rimandando per approfondimenti più organici alla monografia da me pubblicata lo scorso anno[1].

Quando decisi di intraprendere la mia ricerca e poi pubblicare il libro, alcuni mi misero in guardia dall’occuparmi di un tema che a loro dire avrebbe suscitato ben poco interesse al di fuori degli ambienti di addetti ai lavori e nessun riscontro sul piano accademico italiano. Non è stato così, fortunatamente, e dal novembre 2013 all’agosto del 2014 (data della mia partenza) il libro ha avuto una ventina di presentazioni, alcune anche all’estero (Lussemburgo e Londra), nelle quali le vicende di Eugenio Curiel hanno trovato accoglienza e suscitato un interesse del tutto inaspettato per me, sebbene non insperato.

La caricatura di Salvini, un grande e pericoloso errore.

La caricatura di Salvini, un grande e pericoloso errore.

Gianni Fresu

La ciclicità con cui a sinistra ricadiamo negli stessi errori, come una storia che ci riporta sempre e inevitabilmente al suo punto di partenza, è forse una delle ragioni della nostra attuale marginalità politica e sociale. Mi riferisco alla sufficienza con cui si guarda a un fenomeno nuovo e di dimensioni per nulla irrilevanti nel mondo della destra. Salvini sembrerà pure ebete ma non è per niente scemo. Facciamo attenzione a non limitarci alle caricature dei nostri avversari, pensando che tutti lo percepiscano come lo vediamo noi. Non dimentichiamo che, a suo tempo, quando un altro ammaestratore di folle emerse dai disastri della guerra in tanti nel nostro campo lo derisero, ma soprattutto lo sottovalutarono, ritenendo il suo movimento un fenomeno folcloristico di sbandati senza ideologia né futuro: nel marzo 1921 (appena sette mesi prima della Marcia su Roma) il II Congresso del Partito comunista, non solo lo trascurò al punto da prevedere ogni cosa tranne la sua possibile affermazione, ma quasi non ne fece menzione nelle sue Tesi; i socialisti ritenevano di aver chiuso la partita con Mussolini nel 1915; i liberali si illusero di poterlo assorbire negli equilibri passivi tradizionali del vecchio trasformismo, come in passato avevano fatto con mazziniani, cattolici e socialisti riformisti.

Come il suo più illustre predecessore, anche Salvini (nel suo piccolo) sembra aver scoperto la pietra filosofale del più tradizionale sovversivismo reazionario: sobillare/eccitare l’inquietudine dei ceti medi declassati dalla crisi, per ottenerne il consenso; occhieggiare alla grande borghesia spaventata, per difenderne organicamente gli interessi. Essere riuscito a nazionalizzare la Lega, saldando il tradizionale approccio xenofobo del suo movimento all’odio nazionalista fascistoide, oggi polverizzato in una galassia di sigle insignificanti, ma presente (soprattutto culturalmente) nel Paese, è un colpo da maestro, gli va riconosciuto. Soprattutto perché il tutto avviene in un quadro di profonda crisi tanto della destra sociale, quanto di quella liberista. Con una fava, egli si propone per rappresentare entrambe, non è detto che ci riesca, ma ha già portato la Lega fuori dal recinto del Nord (senza più ricorrere all’intermediazione di Berlusconi), candidandola a guidare un nuovo ipotetico blocco sociale conservatore, non è poco. Invece di valutare in termini politici tutto ciò preferiamo limitarci a considerarlo poco più che un imbecille, tuttavia, non occorre essere cervelloni per mettere nel sacco un popolo (raramente hanno infatti governato dei geni) occorre però avere intuito politico, che spesso, invece, i geni non hanno.

A noi può sembrare incredibile che si possa abboccare ai suoi richiami demagogici, senza tenere conto delle sue contraddizioni, del passaggio incoerente dall’antimeridionalismo al nazionalismo, ma pensiamo sia la prima volta o una sua esclusiva storica? Guardiamo alle posizioni del primo movimento fascista nel 1919 (anticlericale, anticapitalista, con punti programmatici della tradizione socialista) e poi prendiamo le posizioni totalmente diverse espresse da Mussolini appena due anni dopo, nel suo primo intervento in Parlamento del 21 giugno 1921 o nel Congresso fondativo del PNF del novembre 1921. Qualcuno pensa che, quando determinate categorie sociali decisero di puntare su di lui, la sua incoerenza ideologica e programmatica fosse un ostacolo? Uno dei più acuti osservatori del fascismo, Angelo Tasca Tasca, nel 1938, riconosce a Mussolini, specie nei tumultuosi avvenimenti tra il 1921 e il ’22, una spregiudicatezza tattica e una determinazione personale non rintracciabile nei suoi avversari politici. Mussolini riesce così a sfruttare a proprio vantaggio l’interminabile situazione di crisi e instabilità governativa: da un lato facendo opera di interdizione verso ogni operazione tesa a combatterlo, isolarlo o anche solo a escluderlo; dall’altro utilizzando tutti i mezzi a disposizione per il conseguimento del suo obiettivo, la conquista del potere e soprattutto il governo della politica estera italiana. La condotta di Mussolini disorienta le vecchie classi dirigenti liberali perché ogni contenuto ideologico, programmatico o propagandistico è utilizzato solo in rapporto alle esigenze immediate. Mussolini non si lega mai ad una affermazione o impostazione ideologica ed è sempre pronto a rovesciare una sua precedente presa di posizione se ciò gli è utile strategicamente:

“L’immensa varietà degli eventi e delle passioni, i molteplici fattori che si annodano nella realtà italiana, e che anche oggi, a distanza di tempo, non è facile districare, subiscono nell’animo di Mussolini una straordinaria semplificazione, mentre i suoi avversari vi si ritrovano con difficoltà. Poiché non seguono fino in fondo né la logica dell’ambizione, né quella delle passioni ideali, costoro procedono esitando, inciampando a ogni passo, aggrappandosi a vecchie formule ed a vecchie combinazioni che la marcia degli avvenimenti  ha  già condannato. Mussolini li supera anche perché, pur seguendo con attenzione vigile e circospetta i minimi fatti che possono modificare i rapporti di forze nella vita politica del paese, mira più lontano. Vuol conquistare il potere rapidamente e con tutti i mezzi, perché vuole arrivare a dirigere la politica estera dell’Italia: là solamente può trovare un campo sufficientemente vasto per la sua ambizione e portare a termine l’avventura cominciata nell’ottobre 1914 con la sua rottura col Partito socialista”[1].

Magari non sarà Salvini l’erede di questa tradizione, ma prima sbeffeggiarlo lo prenderei sul serio, molto sul serio, forse così esageriamo in prudenza però, poi, non siamo noi a fare la figura degli ebeti, come drammaticamente ci è già accaduto, quando il nostro sorriso sardonico si è trasformato in una paresi, magari non permanente ma durata venti lunghi anni. So che è pedante farlo, ma ricorrere a questa citazione (mai come oggi attuale) mi pare utile a chiudere questa breve, amara, riflessione:

“La tendenza a diminuire l’avversario. Mi pare che tale tendenza di per se stessa sia un documento della inferiorità di chi ne è posseduto. Si cerca infatti di diminuire l’avversario per poter credere di esserne vittoriosi; quindi in tale tendenza è anche istintivamente un giudizio sulla propria incapacità e debolezza, ossia un inizio di autocritica, che si vergogna di se stessa, che ha paura di manifestarsi esplicitamente e con coerenza sistematica, perché si crede nella «volontà di credere» come condizione di vittoria, ciò che non sarebbe inesatto se non fosse concepito meccanicamente e non diventasse un autoinganno (contiene una indebita confusione tra massa e capi e finisce coll’abbassare la funzione del capo al livello della funzione del più arretrato e incondito gregario), Un elemento di tale tendenza è di natura oppiacea: è proprio dei deboli abbandonarsi alla fantasticheria, sognare a occhi aperti che i propri desideri sono realtà, che tutto si svolge secondo essi: da una parte l’incapacità, la stupidaggine, la barbarie, la paurosità, dall’altra le più alte doti di carattere e di intelligenza: la lotta non dovrebbe essere dubbia e già pare di tenere in pugno la vittoria. La lotta rimane lotta sognata e vinta in sogno: nella realtà, da dovunque si cominci ad operare, le difficoltà appaiono gravi, e siccome si deve cominciare sempre necessariamente da piccole cose (poiché, per lo più, le grandi cose sono un insieme di piccole cose), viene a sdegno la «piccola cosa»: è meglio continuare a sognare e rimandare tutto al momento della «grande cosa». La funzione di sentinella è gravosa, noiosa, defatigante; perché «sprecare» così la forza umana e non conservarla invece per la grande battaglia eroica? e così via. Non si riflette poi che se l’avversario ti domina e tu lo diminuisci, riconosci di essere dominato da uno che consideri inferiore? Ma come è riuscito a dominarti? Come mai ti ha vinto ed è stato superiore a te proprio in quell’attimo decisivo che doveva dare la misura della tua sua periorità e della sua inferiorità? Ci sarà stata di mezzo la «coda del diavolo». Ebbene impara ad avere la coda del diavolo dalla tua parte”[2].

 

 

 


[1] A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Laterza, Bari, 1972, pag. 328, 329.

[2] A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino, 1977, pag. 1885

 

Fascismo e antifascismo. Programa curso pós graduação em Ciências Sociais, Unesp, Marília, 1° semestre 2015.



“Fascismo e antifascismo”.

Programa curso pós graduação em Ciências Sociais,

Unesp, Marília, 1° semestre 2015.
(9 marzo/25 maggio 2015)

(Administrado por Gianni Fresu)

1. Quadro histórico geral. Premissas, desenvolvimento e dinâmicas do fascismo: a Primeira guerra mundial, a crise econômica, o conflito social no “Biênio vermelho”, o nascimento do “Movimento dei fasci di combattimento”.

2. A “Marcha sobre Roma”, o “caso Matteotti”, a instauração da ditadura, a consolidação na década dos anos 30, a Guerra.

3. O fascismo: interpretações historiográficas em comparação

4. A leitura de Antonio Gramsci

5. A leitura de Antonio Gramsci

6. As aulas sobre o fascismo de Palmiro Togliatti.
(Marcos Tadeu Del Roio)

7. O movimento antifascista: desde a secessão do Aventino à crise da década dos anos 30.

8. O movimento comunista em frente ao fascismo: desde o socialfascismo até os Frentes populares.

9. As novas gerações e o fascismo: a fratura entre jovens e regime, o caso Curiel.

10. A guerra de libertação nacional

11. Conexões, afinidade e diferencias entre fascismo italiano e autoritarismo Brasileiro

(Jefferson Barbosa)

12. O pensamento conservador na história do Brasil

(Anderson Deo) .

Milano, 7 marzo 2015, “Eugenio Curiel a settanta anni dalla sua uccisione”.

Sabato 7 Marzo 2015 dalle ore 9,00 alle 13,00 la Sezione ANPI Porta Magenta “Eugenio Curiel” organizza il convegno “La figura e il pensiero di Eugenio Curiel nel 70° della sua uccisione” – Università Statale di Milano, Sala di Rappresentanza in via Festa del Perdono, 7 – Milano.

Presiede:

Ferruccio Capelli;

Saluti Istituzionali

Relatori:

  •  Albertina Vittoria;
  •  Robertino Ghiringhelli;
  • Alexander Höbel;
  •  Gianni Fresu;
  •  Aldo Tortorella.

La solitudine della classe operaia sarda.

La cronaca socio economica della nostra regione è quotidianamente segnata dalle vertenze del mondo del lavoro, nelle quali ha modo di manifestarsi l’agonia apparentemente irreversibile del suo superstite apparato produttivo industriale. Dalle miniere al tessile, dal siderurgico al pretrolchimico, praticamente non esiste comparto esente dallo stillicidio delle chiusure, con relative procedure di mobilità, ammortizzatori sociali e licenziamenti. Tuttavia, non intendo addentrarmi sul fenomeno della desertificazione industriale dell’isola, in sé noto e studiato da anni, bensì soffermarmi sulla condizione di solitudine vissuta dai soggetti che in primo luogo subiscono gli effetti di questo sgretolamento economico produttivo, costretti a forme di lotta sempre più disperate per attirare l’attenzione. Nella realtà sarda di oggi quanto resta della vecchia classe operaia si trova nella peggior condizione oggettiva e soggettiva di sempre dal suo sorgere, perché non solo subisce da decenni un processo di ridimensionamento strutturale, ma vive un drammatico isolamento politico. Per un verso, gli apostoli delle leggi di mercato (oggi prevalenti) la definiscono un residuo storico del Novecento, sopravvissuto solo grazie all’assistenzialismo statale e dunque ne affermano l’inutilità, sollecitando un rapido lavoro di inumazione al becchino. Per un altro, quel che resta della sinistra, insieme a una visione del mondo organica e coerente incentrata sul conflitto capitale lavoro, sembra aver smarrito anche una precisa idea dei suoi referenti sociali, pertanto, di fronte alla crisi in corso si limita a portare una solidarietà inane ai lavoratori, molto prossima a quella delle autorità ecclesiastiche, la visita del vescovo o del parroco al distretto in crisi e l’immancabile invocazione al signore. Infine, gli orientamenti impegnati nel rivendicare l’universo ideale della cosiddetta “sardità”, sovente prigionieri di una visione romantica “dei bei tempi andati” (intendendosi per essi la retorica dei rapporti sociali comunitari, propri del mondo agro-pastorale). Buona parte di loro, non tutti per carità, guarda con indifferenza se non proprio con malcelato disprezzo questo mondo, quasi che, nel suo storico farsi “classe in sé”, gli operai abbiano incarnato il tradimento di civiltà degli “originali” rapporti produttivi sardi. Qualcosa di molto simile all’approccio dei populisti (portatori anch’essi di una ideologia imperniata sulla mistica della piccola proprietà contadina) verso la nascente classe operaia russa di fine Ottocento. L’attuale solitudine della classe operaia sarda è drammatica, in sé persino più grave del suo disarmo strutturale, determinato dall’insieme combinato di due fattori dal pesante carico distruttivo: la tendenza storica alla delocalizzazione nella produzione industriale; la crisi  organica del capitalismo mondiale, dunque le ristrutturazioni da essa generate. Insomma, non solo la classe operaia sarda sembra destinata a non avere più una progenie, non ha nemmeno padri. Ciò accade non solo nel mondo politico, ma anche negli ambienti incensati dell’Accademia, un tempo guida dei cambiamenti storici e ora rimorchio della più spicciola cronaca politica. Non è un caso se gli studi di uno storico di grande levatura come Girolamo Sotgiu, sulla nascita del movimento operaio sardo, siano praticamente dimenticati e anche i suoi allievi e discepoli si guardano bene dal continuarne l’opera. Eppure il comparire del movimento operaio nella nostra regione, a partire dalla costruzione delle strade ferrate nell’Ottocento, ha rappresentato un indubbio progresso in termini di soggettività sociale e politica, ha favorito l’uscita da una storica condizione di subalternità per fasce significative di masse popolari sarde, superando la illusoria rappresentazione del fantomatico “popolo sardo unito” (senza distinzione tra sfruttatori e sfruttati, dirigenti e diretti) oggi invece tornata prepotentemente di moda. Forse proprio in ciò bisogna rintracciare la convinzione secondo cui i mali del cosiddetto popolo sardo (povertà, arretratezza e sfruttamento) sarebbero una conseguenza della sua misconosciuta dimensione nazionale, anziché il frutto delle contraddizioni nei rapporti sociali di produzione in cui esso si situa. Anche questa confusione, a mio parere, è un segnale della vittoria egemonica di una parte di quel popolo e della sconfitta dell’altra.

Gianni Fresu