São Paulo, 9 de julho 2016, lançamento (presentazione) Lênin leitor de marx.

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No dia 9 de julho (sábado), às 18 horas, haverá na sede nacional do PCdoB (R. Rego Freitas,192 – República – São Paulo) o lançamento coletivo de três obras tratando do marxismo sob a ótica leninista: “A esquerda Ausente” de Domenico Losurdo, “Lenin, leitor de Marx” de Gianni Fresu e “Linhas Vermelhas: marxismo e dilemas da revolução”, de Augusto Buonicore. Da mesa também participarão o professor Marcos Aurélio da Silva (UFSC) e Walter Sorrentino (vice-presidente do PCdoB).

Lênin leitor de Marx: Dialética e determinismo na história do movimento operário

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No final de junho a editora Anita Garibaldi e a Fundação Maurício Grabois estarão lançando “Lênin leitor de Marx: Dialética e determinismo na história do movimento operário” do intelectual comunista italiano Gianni Fresu. O livro, traduzido por Rita Coitinho, traz uma bela apresentação do professor Marcos Aurélio Silva. Segue trecho da orelha da obra: “A publicação de Lênin, leitor de Marx é um motivo de alegria para aqueles que têm no marxismo de Lênin uma referência teórica importante. Sabemos que o pensamento desse revolucionário russo tem estado ausente nos debates acadêmicos, mesmo entre os intelectuais de esquerda (…). Em 1922, preocupado com o crescente menosprezo pela dialética entre os comunistas, Lênin propôs que se criasse uma ‘sociedade dos amigos materialistas da dialética de Hegel’. Hoje, devemos conclamar a intelectualidade marxista revolucionária a formar uma ‘sociedade dos amigos das ideias materialistas e dialéticas de Lênin’. Diríamos que o livro de Fresu contribui nesse esforço”. Augusto Buonicore

Libertà, uguaglianza e contenuto universale della democrazia.

Nel dibattito politico della sinistra di classe, essenzialmente nell’ambito dell’eurocomunismo, per molto tempo, si è discusso dell’esigenza di affermare il “valore universale della democrazia”, dunque di conciliare questo principio con i valori di uguaglianza e giustizia sostanziale propri del socialismo. E’ un discorso ineccepibile, che nasce dalle contraddizioni della nostra storia novecentesca ma che, purtroppo, a guardare la realtà concreta, rischia di apparire maledettamente astratto. Nella retorica democratica del mondo occidentale un punto su cui sempre si insiste è il primato della volontà popolare espressa nel voto, dunque il rispetto dei governi legittimamente eletti. Andando però a vedere bene cosa significa storicamente tutto ciò bisognerebbe aggiungere: “sempre che questa volontà e i governi da essa espressi stiano nel campo dei nostri valori” (primato delle leggi di mercato e tutela dell’ordine sociale nei termini classici di questo modo di produzione). La strategia della tensione da noi, il Cile di Allende, ma anche più recentemente la Bolivia, il Brasile e soprattutto il Venezuela ci dimostrano come il risultato del voto interessi ben poco i grandi santoni del mondo politico e intellettuale liberale, sovente, pronti a utilizzare qualsiasi mezzo, compresa la scorciatoia autoritaria dei colpi di Stato, per tutelare i propri interessi minacciati. Per tutte queste ragioni, è lecito credere nel valore assoluto della democrazia, ma solo in un contesto nel quale una o più classi non si trovino in una condizione di abissale vantaggio in termini di risorse economico-materiali di cui disporre nella competizione politica, sia per costruire il proprio universo ideale e rappresentativo, sia per, molto più prosaicamente, corrompere il mondo intellettuale e comprare chi è costretto dal bisogno. Insomma, possiamo fare affidamento sul valore universale della democrazia solo in un contesto nel quale il privilegio e la differenza economico sociale non siano di ostacolo all’effettivo esercizio dell’uguaglianza formale.

Renzo Laconi, storia ed emancipazione della Sardegna.

Renzo Laconi, storia ed emancipazione della Sardegna.

Gianni Fresu

Relazione tenuta al Convegno “Centenario di Renzo Laconi”, CID, Rettorato dell’Università di Cagliari (2/3 marzo 2016)

La biblioteca di Laconi[1], attualmente custodita dalla Fondazione “Giuseppe Siotto”, rappresenta in sè uno straordinario patrimonio, configurandosi come una chiave di accesso utile a indagare la complessità umana e culturale di colui che la creò. Di questa vasta e articolata biblioteca, composta di quasi 6000 titoli, Roberto Moro e Franco Satta ci hanno fornito tutte le coordinate al termine di un lungo e minuzioso lavoro di catalogazione, condotto con le più aggiornate tecniche biblioteconomiche. Dunque, per approfondirne la conoscenza, rinvio al loro catalogo, limitando queste brevi considerazioni a quanto di mia competenza. Quando fu realizzato questo catalogo, personalmente mi occupai di accompagnarne la realizzazione con una sintetica biografia umana e politica di Renzo Laconi.

La straordinaria vastità della biblioteca di Laconi ci restituisce intatto il tracciato di un percorso politico ed intellettuale contraddistinto da una molteplicità di direzioni e interessi, alcuni anche sorprendenti. Una biblioteca specchio fedele della sua personalità e testimone del tentativo di cui, insieme ad altri, Laconi fu parte: immettere la storia delle classi subalterne sarde, con tutto il suo retroterra di tradizioni popolari e manifestazioni culturali, nel grande alveo della storia generale, della politica nazionale ed internazionale. Se la Sardegna esprimeva storicamente il problema di una soggettività marginale e subalterna ciò valeva ancora di più per le sue masse popolari inquadrate in livelli di assoggettamento molteplice.

A dialética entre a chamada Globalização e o Estado nacional.

A dialética entre a chamada Globalização e o Estado nacional.

Gianni Fresu

 “Revista Princípios”, n. 140, janeiro fevereiro 2016, pag. 65-74  (ISSN: 2358-0690), Editora Anita Garibaldi, São Paulo.

 

Os processos de mundialização da economia não são um fenômeno recente, mas uma tendência que atravessou em profundidade toda a fase de expansão da economia gerada desde a revolução industrial, e também, em formas diferentes, as fases precedentes. Não é casualidade o fato de Marx e Engels tratarem, já no Manifesto do Partido Comunista, do processo de internacionalização da produção, do consumo e do abastecimento das matérias primas. Uma condição de interdependência que determina novas exigências, envolvendo também a produção imaterial num processo que «das literaturas nacionais e locais se desenvolve para uma literatura mundial». Mas é, sobretudo, a própria universalização do modo de produção e distribuição burguesa que esclarece que a origem dos fenômenos geralmente definidos como “globalização” não é recente:

Com o rápido avanço de todos os instrumentos de produção, com as comunicações infinitamente mais cômodas, a burguesia atira na civilização a todas as nações mais bárbaras. Os baixos preços das suas mercadorias são a artilharia pesada com a qual derruba todas as muralhas chinesas e com que obriga à capitulação até a mais obstinada xenofobia dos bárbaros. Ela obriga todas as nações a adotar o sistema de produção da burguesia, ainda que não queiram introduzir nos seus países a chamada civilização, ou seja, tornarem-se burgueses. Numa palavra, ela cria um mundo à sua imagem e semelhança[1].

Gramsci: Naturale e contro natura. Il significato convenzionale dei valori morali.

Nel Quaderno 16 Gramsci si domanda cosa significhi parlare di naturale o contro natura rispetto ai comportamenti personali o a certe manifestazioni del costume. In realtà il concetto di naturale coincide con quanto si considera giusto e normale, anche se raramente la nostra idea di naturale o giusto è ritenuta parte di una coscienza storica contingente, infatti, non la si considera mai tale, ma assoluta e immutabile. Sulla base di quella coscienza storica divenuta senso comune, spesso vengono definiti contro natura determinati comportamenti, specie sessuali, riscontrabili invece nel mondo animale, come se questi non facessero parte della naturalità. Il problema risulta mal posto perché, a prescindere dai comportamenti del mondo animale, la natura dell’uomo è determinata dall’insieme dei rapporti sociali che concorrono a formare una coscienza storica, dunque ciò che si ritiene naturale o contro natura è in realtà rapportato a questa coscienza attuale e non all’idea di natura. I modelli culturali, gli stili di vita e costume condensati nei rapporti sociali non sono fissi e omogenei per ogni uomo, luogo e tempo, essi sono in rapporto contraddittorio e in continuo mutamento. Ciò che in un periodo storico si afferma come necessario e universale è determinato dal tipo di civiltà economica nel quale si è inseriti. Esso non solo definisce l’obiettività e la necessità di un determinato attrezzo per la produzione, stabilisce regole di condotta, morale, gli stili educativi, le regole di convivenza di una determinata società.
Rientra nell’orbita della concezione sulla “naturalità” dei comportamenti anche la tendenza a giustificare ogni comportamento con le considerazioni sull’ambiente sociale. In questo modo ogni responsabilità individuale viene annegata nel mare di un’astratta e generica responsabilità sociale. Se una tale concezione (considerata da Gramsci retriva e conservatrice) fosse vera non ci sarebbe alcuna evoluzione nella storia dell’umanità. Se un individuo per poter cambiare avesse bisogno che l’intera società muti prima di lui nessun cambiamento avverrebbe. La storia è invece segnata dal conflitto permanente tra gruppi e individui per cambiare o conservare lo stato di cose esistenti. L’ambiente può solo spiegare il comportamento degli individui, non giustificarlo.

09/03/2016, quinto seminario su A. Gramsci: “Ogni uomo é un filosofo”. Gli intellettuali e la natura dei rapporti tra governanti e governati.

GRLAB

“Gramsci Lab”

Laboratorio internazionale di studi gramsciani

Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni della Università di Cagliari

 

Ciclo di seminari di introduzione al pensiero di Antonio Gramsci nell’ambito del progetto “Leggere le relazioni internazionali Nord-Sud tramite le categorie gramsciane”.

 

Il quinto e ultimo seminario di Gianni Fresu si terrà il prossimo mercoledì 9 marzo 2016, alle 16:00, presso l’ Aula Magna Facoltà ex Scienze Politiche, viale S. Ignazio 78 di Cagliari.

Tema affrontato:

“Ogni uomo é un filosofo”:

gli intellettuali e la natura dei rapporti tra governanti e governati

Per Gramsci il rapporto governanti governati è conseguente alla divisione del lavoro, alla distinzione tra funzioni intellettuali e manuali: «ogni uomo è un filosofo», è l’organizzazione tecnica a farne un diretto e non un dirigente, pertanto se lo scopo principale di un partito consiste nel formare dirigenti il suo dato di partenza deve risiedere nel non ritenere naturale e immodificabile quella distinzione. Il problema dell’assenza di un rapporto organico di rappresentanza in politica non riguardava solo i partiti di élite della tradizione liberale, dove la funzione di direzione era esercitata unilateralmente da uomini di cultura, ma anche i cosiddetti partiti di massa del movimento operaio. Se le masse in un partito non hanno altra funzione al di là della fedeltà militare verso i gruppi dirigenti il rapporto dualistico è esattamente lo stesso: «la massa è semplicemente di manovra e viene occupata con prediche morali, con pungoli messianici di attesa di età favolose in cui tutte le contraddizioni e miserie presenti saranno automaticamente risolte e sanate» Un partito serio, non l’espressione arbitraria di individualismi, deve essere portatore di qualcosa di simile allo spirito statale, un sentimento di appartenenza che lega il presente e il futuro con la tradizione e rende i suoi cittadini solidali con l’azione storica delle forze spirituali e materiali nazionali.

14/01/2016, Quarto seminario su A.Gramsci: La sfida dei Quaderni, alle origini delle nostre contraddizioni nazionali.

GRLAB

“Gramsci Lab”

Laboratorio internazionale di studi gramsciani

Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni della Università di Cagliari

 

 

Il Quarto seminario di Gianni Fresu dal titolo La sfida dei Quaderni: alle origini delle nostre contraddizioni nazionali, (che si terrà a Cagliari il prossimo giovedì 14 dicembre 2015, alle 16:00, presso l’ Aula Magna Facoltà ex Scienze Politiche, viale S. Ignazio 78 di Cagliari), si occuperà di questi temi: 

 

  • L’avvio tormentato di un lavoro «disinteressato»             
  • Il trasformismo permanente;                                                                                                                      
  • «Il vecchio muore e il nuovo non può nascere»: esiti regressivi e progressivi delle «crisi organiche».

 

Nel carcere di Turi l’8 febbraio 1929, due anni dopo l’arresto, Gramsci inizia la stesura dei Quaderni. In carcere lo studio è un metodo di resistenza all’abbruttimento intellettuale, strumento di sopravvivenza sia fisica sia politica. Come ha scritto Valentino Gerratana, dalla tensione tra queste due esigenze prendono forma i Quaderni, un lavoro composto di appunti e riflessioni destinati ad ulteriore definizione, eppure di straordinaria ricchezza, tanto da essere ritenuto irrinunciabile per tanti ambiti scientifici molto diversi tra loro. Dalla critica letteraria alla linguistica, dalla storia alla scienza politica, dalla pedagogia al teatro. Un’opera, attualmente, oggetto di studi scienitici approfonditi negli USA, in Inghilterra, Giappone, India, Brasile e Messico  ben più di quanto non lo sia in Italia. Nei Quaderni emerge il rigore politico e insieme la spietata concretezza, con la quale l’intellettuale sardo fa i conti con il crollo del sistema liberale in Italia e con esso il travolgimento del movimento operaio e del proprio campo politico. Un dramma storico che spinge Gramsci ad un’indagine priva di indulgenze sui limiti, gli errori, le astrattezze dell’intero fronte oppostosi a Mussolini. Ma l’indagine non si ferma al contingente dato politico. Gramsci si interroga problematicamente sulla totalità e organicità dei processi storici, sui limiti congeniti dell’intera vita politica italiana, sulla continuità dei suoi vizi, senza tentare di assolvere o fare sconti al suo stesso orientamento politico-ideologico.

Da Karl Marx a John le Carré: “la storia fino ad oggi esistita è storia di complotti e servizi segreti”.

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Ogni qual volta il mondo è agitato da eventi tragici, simili a quello accaduto a Parigi nel venerdì 13 novembre 2015, come funghi, spuntano tesi cospiratorie che leggono ogni avvenimento attraverso la pericolosissima lente deformante del complotto e della onnipresente pervasività dei servizi segreti. Sia chiaro, non credo alle baggianate sul conflitto di civiltà che già ci propinarono negli anni Novanta per giustificare la sopravvivenza della alleanza militare (dunque del dominio economico produttivo) occidentale dopo la fine della guerra fredda, né ancora meno credo a un Occidente vittima, assediato per i suoi valori di libertà da un’orda barbarica senza forma né sembianze.
Al contrario, la nascita di questa galassia (appiattita nella definizione generica di “fondamentalismo islamico”) è stata favorita, finanziata, armata, consolidata e coccolata dall’Occidente sin dagli anni Settanta e ancora continua a servirsene o comunque non ostacolarla. Chiarito tutto ciò, trovo assurdo che, proprio a sinistra, tanti non riconoscano a questo movimento una sua autonoma soggettività e se vogliamo una dignità politica (che non significa certo legittimarla), intesa come reazione (distruttiva, folle e retrograda) ai rapporti di sfruttamento e dominio imposti dall’Occidente attraversi secoli di colonialismo prima e imperialismo poi. Dire che tutto ciò è (esclusivamente) frutto di una cospirazione dell’Occidente e dell’azione dei suoi servizi di intelligence significa infatti non aprire gli occhi su un fenomeno di massa e internazionale di cui ancora non comprendiamo i contorni e le potenzialità (distruttive). Se nelle periferie delle grandi capitali occidentali si reclutano migliaia di militanti pronti a morire e dall’Africa sub-sahariana al vicino e medio Oriente si formano divisioni così ampie di combattenti (al di là delle forme di finanziamento palesi o occulte e delle protezioni internazionali godute), io andrei a indagare gli effetti dell’imperialismo e dell’esclusione sociale a Parigi, Bruxelles o Berlino, anziché acchiappare le nuvole del complottismo, perché lì vanno ricercate le cause di un fenomeno di tali dimensioni.