ALTHUSSER:
LA “FILOSOFIA DELL’UOMO” E LA “DEVIAZIONE STALINIANA”.
Di Gianni Fresu
Il dibattito, scatenatosi dopo il 1956, a seguito del XX Congresso del PCUS, relativo all’emergere di nuove categorie concettuali quali l’”umanesimo socialista” e il cosiddetto “culto della personalità” ha sicuramente rappresentato, uno dei momenti più controversi e complessi nella storia del movimento operaio del secolo appena concluso, ed ha prodotto lacerazioni tanto profonde da poter essere paragonabile, per gli effetti che esso ha prodotto, alla votazione dei crediti di guerra da parte dei principali partiti della seconda internazionale nel 1914. All’interno di questo dibattito ci pare utile soffermarci sulle riflessioni in merito sviluppate da Louis Althusser che con estrema lucidità e spirito critico ha saputo cogliere l’inadeguatezza sul piano teorico delle “denuncie” contenute nel rapporto segreto e nelle speculazioni che ne sono scaturite, indicando come dall’abbandono dei canoni analitici marxisti e dall’utilizzo di categorie ad esso estranee si avviasse una discussione su un piano inclinato gravida di conseguenze negative per il movimento comunista internazionale. Per Althusser infatti i presupposti di queste denunce e le finalità ideologiche più che teoriche di queste1, per quanto determinate da una reale esigenza storica, oltre a non fornire alcun criterio conoscitivo utile che consentisse di portar luce sui fenomeni che intendeva indagare, oltre a non essere in grado di superare gli “abusi” che intendeva denunciare, fornirono armi ulteriori all’arsenale dell’anticomunismo di maniera e al revisionismo storico e produssero tra numerosi e autorevoli intellettuali marxisti una certa subalternità ideologica ai temi dell’idealismo borghese di cui ancora oggi si avverte il condizionamento all’interno di quelle stesse forze della sinistra radicale e antagonista che in un modo o nell’altro continuano a richiamarsi a Marx.