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Ripartire dalla sinistra d’alternativa, rilanciare il binomio autonomia/unità per il PRC.

Ripartire dalla sinistra d’alternativa, rilanciare il binomio autonomia/unità per il PRC.

Di Gianni Fresu

 

Il primo dato della nostra analisi non può che partire dalla soddisfazione per l’ottimo risultato conseguito dal PRC e dall’insieme della sinistra d’alternativa, che ha considerevolmente accresciuto il suo peso – quantomeno elettorale – all’interno dell’Unione. Tutti correvano verso il centro alla ricerca dei voti e invece i nuovi voti sono venuti da sinistra, buon segnale.

È sicuramente ragione di soddisfazione l’aver creato le condizioni – seppur minime – per la nascita di un Governo diverso da quello che per cinque anni ha messo alla frusta i già precari equilibri democratici del nostro paese, tuttavia, le elezioni ci hanno consegnato un quadro politico ancora più complesso e precario di quanto avremmo potuto immaginare.

Il berlusconismo rappresenta una delle pagine più nere e reazionarie di modernizzazione capitalistica della Storia d’Italia, è una miscela che coniuga perfettamente le pulsioni insieme conservatrici ed eversive delle classi dirigenti italiane. Berlusconi non è, come spesso viene rappresentato in alcune nostre analisi, un semplice fenomeno di avanspettacolo, un leader da paese di Pulcinella, è un rappresentante moderno, dannatamente moderno, del populismo autoritario. È la camicia nera che indossa il doppio petto, consapevole che in una società a capitalismo avanzato il mantenimento del potere entro uno schema di equilibrio passivo, si gioca più sul versante dell’egemonia, sulla capacità di imbrigliare, irreggimentare le masse entro schemi culturali, politici, di civiltà imposti, piuttosto che attraverso la coercizione immediata, diretta e visibile. Il berlusconismo non è la televisione che sostituisce il manganello, semplicemente lo fa scomparire.

Agli storici spetterà il compito di fare un esame più puntuale e scientifico, tuttavia, già oggi possiamo senz’altro affermare che Berlusconi, come del resto Bush negli USA, ha saputo coagulare intorno a sé un nuovo blocco di potere reazionario tanto resistente da non essersi ancora frantumato, nonostante depressione economica, peggioramento delle condizioni di vita e lavoro dei cittadini, scandali e crisi internazionali di proporzioni impensabili solo qualche anno fa. In questo blocco si reggono insieme elementi tra loro enormemente diversi eppure tutti funzionali al disegno politico complessivo: settori trainanti del capitalismo settentrionale che in questi decenni hanno accumulato immense fortune; elementi sia dinamici che parassitari del capitalismo meridionale; ambienti più conservatori e militarizzati del cattolicesimo, diretta emanazione delle gerarchie vaticane; i ceti medi incattiviti dai nuovi fenomeni di proletarizzazione che la decadenza economica dell’Italia ha prodotto su di loro; fasce significative del mondo del lavoro egemonizzato a destra sui temi del liberismo populista; il sottoproletariato dominato dalle reti clientelari e malavitose del voto di scambio.

Insomma un blocco di potere forte e consistente, paragonabile per incisività ad altre pagine storiche di modernizzazione capitalistica autoritaria italiane, nel quale gli elementi di raccordo tra il grande capitalista e il sottoproletario non sono più le diverse scale gerarchiche di intellettuali che dal piccolo e medio “intellettuale da paglietta”, come lo definiva Gramsci, giungevano su in alto fino alle grandi istituzioni intellettuali alla Benedetto Croce. Ora la chiave di volta degli assetti di dominio si gioca prevalentemente attraverso il controllo dei media.

La conferma della forza egemonica del blocco di potere delle destre è venuta da un risultato elettorale che non ha consegnato il berlusconismo alla storia, né sul piano della capacità di controllare i processi legislativi e di governo, né, tanto meno, sul versante della capacità di dettare temi e contenuti dell’agenda politica del centro-sinistra.

L’insieme di questi fattori può essere letale per la partecipazione del PRC a questa esperienza di Governo se esso non sarà in grado di incidere concretamente sulle politiche perseguite, se si farà fagocitare entro gli schemi del bipolarismo e dell’alternanza.

È sicuramente vero che il popolo di sinistra questa volta non perdonerebbe una riedizione della crisi del 98, ma è altrettanto vero che una parte consistente di quello stesso popolo di sinistra ha dato forza al PRC proprio confidando nella sua capacità di condizionare il Governo nella realizzazione del programma. La vittoria elettorale del centro sinistra non significa certo la sconfitta politica della destra economica, e i primi segnali politici del dopo elezioni ne danno piena conferma, per questo credo che certi slanci ottimistici sulla fase e le prospettive della sinistra in questa legislatura siano del tutto fuori luogo.

Diversi esempi ci si parano di fronte: dalla nuova ondata patriottarda di questi giorni, che sta avvolgendo in un alone di ambiguità la questione del rifinanziamento delle operazioni militari in Iraq e Afghanistan, che a giugno dovrà essere discussa in Parlamento, rispetto alle quali si sente sempre più spesso parlare di ritiro graduale concordato con i governi fantoccio imposti dagli USA; alle timidezze contro i nuovi venti di guerra che gli USA si preparano a scatenare in Iran.

Ma il discorso vale anche sul versante delle Politiche sociali e del lavoro, dove la probabile indicazione di Padoa Schioppa all’economia e i silenzi su legge 30 e controriforma delle pensioni non fanno certo ben sperare.

Per tutte queste ragioni si comprende poco la scelta di spendere tutto il potere contrattuale del PRC per ottenere una carica di equilibrio istituzionale, piuttosto che un ministero chiave come quello del lavoro e delle politiche sociali. Sia chiaro essere riusciti a conferire la terza carica dello Stato a Fausto Bertinotti è un risultato storico per i comunisti, perché rappresenta la fuoriuscita dall’angolo in cui i comunisti sono stati schiacciati in questi anni, e porterà ad un grande ritorno in termini d’immagine e prestigio per il PRC. Peraltro questo risultato è stato suggellato da uno splendido ed emozionante discorso di insediamento di Bertinotti che ci ha inorgoglito e rappresentato al meglio.

Tuttavia, in una fase tanto complessa come quella attuale, anche io, come Rossana Rossanda, mi pongo l’interrogativo se non sarebbe stato più utile dare battaglia per esercitare, più concretamente, un potere di indirizzo politico nel Governo.

Sempre in considerazione della difficoltà della fase, mi lascia fortemente perplesso il fatto che la sinistra d’alternativa, specie dopo il risultato elettorale ottenuto, continui a muoversi in ordine sparso. Mai come ora è decisivo unire e coordinare la sinistra d’alternativa (PRC, Verdi, PdCI, sinistra DS, FIOM, COBAS) andando oltre orticelli, boria di partito e interessi di piccolo cabottaggio. La sfida alle forze più moderate del centro sinistra si può giocare solo rilanciando il ruolo e la centralità del Partito della Rifondazione comunista attraverso quel binomio di autonomia e unità che gli può consentire di contare, riannodando quei fili che si sono strappati all’indomani del referendum per l’estensione dell’articolo 18. Autonomia, perché i comunisti non possono farsi schiacciare dall’imperativo ideologico della governabilità e della stabilità ad ogni costo; Unità, perché pur essendo determinante, da solo il PRC non è sufficiente per imprimere un indirizzo di sinistra all’indirizzo di governo. Autonomia ed unità dunque, perché le speranze dell’alternativa non siano ammazzate dalle esigenze dell’alternanza.

 

 

 

 

 

Professore di Filosofia politica presso la Universidade Federal de Uberlândia (MG/Brasil), Dottore di ricerca in filosofia Università degli studi di Urbino. Ricercatore Università di Cagliari.