BEGIN TYPING YOUR SEARCH ABOVE AND PRESS RETURN TO SEARCH. PRESS ESC TO CANCEL

Gramsci contro l’ipocrisia delle regole

Gramsci: Naturale e contro natura. Il significato convenzionale dei valori morali.

Martedì 30 giugno 2009
Per Gramsci, se si vuole comprendere la storia dell’umanità bisogna evitare una sua rappresentazione per compartimenti stagni. La complessità della realtà è data dalle mille sfaccettature in cui si essa si compone, dallo stretto intreccio di elementi diversi che emergono nel movimento dialettico della storia. In tal senso “I Quaderni del carcere” indagano a 360 gradi senza fermarsi né davanti ai templi incensati dell’alta cultura, né di fronte a quegli aspetti della cultura popolare o del senso comune ritenuti frivoli o insignificanti. Trattano, infatti, con la stessa curiosità e assenza di pregiudizio la grande filosofia come i romanzi d’appendice. Il volume 15 in uscita domani contiene il quaderno 11 intitolato “Introduzione alla filosofia”, e il quaderno 16 “Argomenti di cultura”. Tra essi è possibile trovare temi che ancora oggi riempiono le pagine dei giornali. Oggi come allora, ad esempio, determinati comportamenti personali e manifestazioni del costume sono classificati come “naturali” o “contro natura”. Secondo Gramsci, naturale coincide con ciò che si considera giusto e normale sulla base della coscienza storica attuale, anche se noi tendiamo a rappresentarlo in termini assoluti e immutabili. Sulla base di quella coscienza storica, divenuta senso comune, vengono definiti contro natura determinati comportamenti, specie sessuali, riscontrabili invece nel mondo animale.
La natura dell’uomo è determinata dall’insieme dei rapporti sociali che formano una coscienza storica. I modelli culturali, gli stili di vita e i rapporti sociali non sono fissi e omogenei per ogni uomo, luogo e tempo, ma sono in rapporto contraddittorio e in continuo mutamento e soprattutto non hanno nulla a che vedere con la naturalità delle cose. Ciò che in un periodo storico si afferma come necessario e universale è determinato dal tipo di civiltà economica nel quale si è inseriti. Essa non solo definisce l’obiettività e la necessità di un determinato attrezzo per la produzione, stabilisce norme di condotta morale, gli stili educativi, le regole di convivenza di una determinata società. Nella storia capita che certe concezioni morali risultino invecchiate e non più corrispondenti alla realtà e la loro persistenza sia solo formale, esteriore, inducendo «a una doppia vita, all’ipocrisia e alla doppiezza». La facciata della rispettabilità, dell’ossequio ai valori religiosi e familiari parallelamente a una seconda vita all’insegna della trasgressione e dell’edonismo. Nuovamente, il problema non è la naturalità dei comportamenti ma la natura convenzionale dei valori morali e, se vogliamo, la sincerità con cui li si assume come norma di condotta.
Le fasi esasperate di libertinaggio e dissolvimento della morale tradizionale che in genere reagiscono contro questa condizione di doppiezza, annunciano per Gramsci una nuova concezione morale che si va affermando. Con questa chiave di lettura, ad esempio, la stagione di contestazione culturale del ’68 potrebbe essere compresa molto più razionalmente.
G. F.

Professore di Filosofia politica presso la Universidade Federal de Uberlândia (MG/Brasil), Dottore di ricerca in filosofia Università degli studi di Urbino. Ricercatore Università di Cagliari.