Ripartire dalla sinistra d’alternativa, rilanciare il binomio autonomia/unità per il PRC.

Ripartire dalla sinistra d’alternativa, rilanciare il binomio autonomia/unità per il PRC.

Di Gianni Fresu

 

Il primo dato della nostra analisi non può che partire dalla soddisfazione per l’ottimo risultato conseguito dal PRC e dall’insieme della sinistra d’alternativa, che ha considerevolmente accresciuto il suo peso – quantomeno elettorale – all’interno dell’Unione. Tutti correvano verso il centro alla ricerca dei voti e invece i nuovi voti sono venuti da sinistra, buon segnale.

È sicuramente ragione di soddisfazione l’aver creato le condizioni – seppur minime – per la nascita di un Governo diverso da quello che per cinque anni ha messo alla frusta i già precari equilibri democratici del nostro paese, tuttavia, le elezioni ci hanno consegnato un quadro politico ancora più complesso e precario di quanto avremmo potuto immaginare.

Il berlusconismo rappresenta una delle pagine più nere e reazionarie di modernizzazione capitalistica della Storia d’Italia, è una miscela che coniuga perfettamente le pulsioni insieme conservatrici ed eversive delle classi dirigenti italiane. Berlusconi non è, come spesso viene rappresentato in alcune nostre analisi, un semplice fenomeno di avanspettacolo, un leader da paese di Pulcinella, è un rappresentante moderno, dannatamente moderno, del populismo autoritario. È la camicia nera che indossa il doppio petto, consapevole che in una società a capitalismo avanzato il mantenimento del potere entro uno schema di equilibrio passivo, si gioca più sul versante dell’egemonia, sulla capacità di imbrigliare, irreggimentare le masse entro schemi culturali, politici, di civiltà imposti, piuttosto che attraverso la coercizione immediata, diretta e visibile. Il berlusconismo non è la televisione che sostituisce il manganello, semplicemente lo fa scomparire.

“Sinistra d’alternativa o alternativa sinistra”?

Sinistra d’alternativa o alternativa sinistra”?

Di Gianni Fresu (Comitato Politico Nazionale del PRC)

 

Nella sua relazione all’ultima riunione del CPN (26, 27 novembre 2005) il nostro Segretario Fausto Bertinotti ha delineato un quadro di iniziativa politica ben preciso. In estrema sintesi questi sono i capisaldi della sua proposta: 1) la fase impone un’accelerazione (per essere ancora più precisi una «precipitazione») nel processo di aggregazione della sinistra d’alternativa; 2) questa precipitazione deve portarci in tempi stretti («tre mesi al massimo» si è detto) a far nascere un nuovo soggetto politico che ne sia espressione e che non si basi su una semplice convergenza programmatica ma su una «comunanza di cultura politica»; 3) gli agenti lievitanti di questa operazione devono essere le esperienze del Partito della sinistra europea e quella recente delle Primarie; 4) questa precipitazione deve portare alla nascita di un soggetto ben definito, la Sezione italiana del Partito della sinistra europea i cui elementi costitutivi devono risiedere fondamentalmente in tre soggetti, i Comitati per le primarie, le “personalità” indipendenti che si sono avvicinate a questi comitati, ed infine il PRC.

“NO” alle servitù militari, “SI” alla pace e alla civiltà.

NO” alle servitù militari, “SI” alla pace e alla civiltà.

Intervista al Presidente della Regione Autonoma della Sardegna Renato Soru.

A cura di Gianni Fresu.

«l’ernesto», Anno XIII – N.4 Luglio/Agosto 2005

Proprio nel sessantesimo anniversario del più grande atto terroristico che la storia dell’umanità abbia mai conosciuto, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, è tornato sotto la luce dei riflettori un problema che ci riguarda da vicino ma di cui si è fino ad oggi ignorata la gravità: nel corso degli ultimi tre decenni nel mar Mediterraneo è andata sempre più ad aumentare la concentrazione di immensi arsenali con armamenti a testata nucleare in palese violazione del Trattato di non proliferazione del 1970.

Anche su questo versante – come da tradizione oramai – la Sardegna si trova a subire, suo malgrado, un ruolo di assoluta centralità con la presenza sul suo territorio di due porti destinati all’attracco e alla sosta di navi a propulsione nucleare. Il primo è quello della base di Santo Stefano nell’Isola di La Maddalena – istituita nel 1972 attraverso un Trattato segreto mai ratificato dal Parlamento di cui dopo 32 anni ancora non sappiamo nulla – all’interno della quale il Governo Berlusconi ha dato il via libera al raddoppio delle volumetrie a terra (52000 metri cubi di cemento armato in una parco con vincoli di inedificabilità assoluta), nonostante il parere contrario di Consiglio Regionale, Giunta e COMIPA (il Comitato paritetico sulle servitù militari) e nonostante l’opposizione di un movimento che in questi anni è andato via via ad ingrossare le sue fila.

Il secondo è invece il porto di Cagliari nel quale la situazione è se vogliamo ancora più paradossale. Le norme internazionali di sicurezza sottoscritte dal nostro paese vieterebbero l’ormeggio nel porto militare di Cagliari di navi e sottomarini a propulsione nucleare perché i suoi moli sono adiacenti alle condotte di trasporto di combustibile che si diramano nel cuore della città concludendo il loro percorso nei depositi sotterranei del colle di “Monte Urpinu” (il parco cittadino più importante e frequentato dai cagliaritani) e del promontorio della “Sella del Diavolo” che domina l’affollatissima spiaggia del “Poetto”, non a caso chiamata “la spiaggia dei centomila”. Ma nonostante tutto ciò il porto nucleare esiste, mentre manca invece un qualsiasi piano di emergenza in caso di incidente.

Lettera a Liberazione

Lettera a Liberazione

 

Caro Direttore, rispetto alle riforme che il Governo Berlusconi si appresta a varare, Prodi ha posto giustamente la questione del rapporto tra maggioranza e minoranza ventilando il rischio di una «dittatura della maggioranza», di un dominio assoluto della maggioranza. L’improvvisa riesumazione di Alexis de Tocqueville mi sembra corretta e appropriata, perché è oggettivamente vero che il grado di democraticità di un ordinamento politico si commisura sulle possibilità reali che ha la minoranza di esprimere le sue idee, le sue proposte politiche e di farle valere nei confronti di quanti detengono il potere politico; tanto più che in uno stato di monopolio mediatico come quello italiano il problema del «conformismo» e la volontà di plasmare l’opinione pubblica (analizzato acutamente ne La Democrazia in America 170 anni fa), è oggi più che mai centrale ed attuale.

Tutto ciò dunque mi è chiaro, solo non mi spiego però come mai il nostro Segretario nazionale Fausto Bertinotti e i suoi più stretti collaboratori si sono affrettati a sostenere questa posizione quando non più di una settimana fa hanno realizzato un autentico colpo di Stato sullo statuto che rientra perfettamente nello schema contestato da Prodi. Come definire il fatto che il Congresso nazionale ha stravolto lo Statuto a colpi di Maggioranza senza che nessun congresso di Circolo o federale avesse discusso di quelle modifiche o ne avesse anche soltanto intuito l’esistenza? Come definire l’operazione che ha svuotato di poteri il CPN e la Direzione Nazionale creando un organismo con potere decisionale (l’Esecutivo) nel quale la maggioranza del 58% ottiene – grazie ad un assurdo quanto inusuale premio di maggioranza – il 90% dei membri? Come definire il fatto che nelle conclusioni del congresso si sia indicata all’opposizione “la porta” dopo aver incitato la maggioranza dei delegati alla guerra santa contro l’empia minoranza (ricordate «il piombo nelle ali»)?

Compagni, fuori dai denti, trovo ipocrita che si contesti all’esterno quanto si è fatto con tanta leggerezza al proprio interno. Fino a poco tempo fa si diceva che l’«altro mondo possibile» bisognava costruirlo anzitutto al nostro interno, il pragmatismo di questo Congresso, il profumo di Governo e Sottogoverno, hanno evidentemente relegato nell’ambito delle “pie utopie” anche tale banale aspirazione.

 

Saluti Comunisti

Gianni Fresu

 

 

La questione militare in Sardegna oggi: la centralità dell’isola nei nuovi scenari della competizione interimperialistica tra USA e UE.

La questione militare in Sardegna oggi: la centralità dell’isola nei nuovi scenari della competizione interimperialistica tra USA e UE.

 

Di Gianni Fresu

 

L’«ernesto» n. 3 Maggio Giugno 2004

 

Se escludiamo la parentesi dei Giudicati medievali tra l’VIII e i X secolo, la Sardegna – per via della sua posizione strategica al centro del mediterraneo – dal I millennio a. C. fino ai giorni nostri, è sempre stata terra di conquista o pedina di scambio tra le potenze che si sono succedute nel dominarla ed asservirla: fenici, carteginesi, romani, pisani, aragonesi, piemontesi, italiani e americani, tutti hanno sempre occupato e sfruttato la Sardegna anzitutto come avamposto militare. Persino Horatio Nelson scelse la Sardegna quale base privilegiata della sua flotta nel mediterraneo.

Non è forse questa la sede per trattare il tema dell’identità culturale, storica e nazionale da sempre misconosciuta a un popolo come quello sardo, tuttavia il dato dal quale è necessario partire in queste considerazioni è che la Sardegna continua ancora oggi ad essere soggetta ad un dominio che ha tutte le caratteristiche dello sfruttamento semi-coloniale, in virtù del quale buona parte del suo territorio è stato interdetto a qualsiasi uso civile e trasformato in servitù ad uso e consumo non solo delle forze armate, ma anche di fabbriche come Alenia, Thomson, Aerospatiale, Fiat, Meteor, CSM e tante altre, che in Sardegna testano le loro produzioni belliche e allestiscono immensi Show room dimostrativi all’aperto per la vendita <<chiavi in mano>> dei loro gioiellini a possibili acquirenti che vanno dalle stesse potenze occidentali ai “dittatorelli” e “signori della guerra” del terzo e quarto mondo.

La rivista <<l’ernesto>> ha da tempo avviato un interessantissimo dibattito sul processo di unificazione europea contestualmente al definirsi sempre più chiaro di una profonda divaricazione strategica di interessi tra l’Unione Europea e gli USA1. L’unificazione economica, monetaria, politica e militare dell’Europa, la sua volontà di assumere un ruolo autonomo e di primo piano sullo scacchiere mondiale non hanno alla loro base soltanto scelte di natura politica, ma sono in gran parte la conseguenza di necessità affermatesi sul piano della produzione economica e dello sviluppo delle forze produttive, riguardano cioè un processo scaturito dalla competizione economica internazionale e dalla volontà del capitalismo europeo di garantirsi un suo spazio di penetrazione ed espansione economica non subalterno agli USA.

Interventi al Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista (28-29-giu-03)

Interventi al Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista

Roma, 28 – 29 giugno 2003

Gianni Fresu (Federazione di Urbino)

Tre dati inequivocabilmente segnano la nostra analisi: la sconfitta del referendum; il non certo lusinghiero risultato alle elezioni amministrative; il calo degli iscritti. Tre dati che indicano una crisi del nostro partito e che risultano ancora più allarmanti se si considera che giungono dopo una lunga e ricca stagione di movimento – da cui paradossalmente sembrano trarre maggior giovamento i Ds e il Pdci – nella quale il nostro partito ha investito molte delle sue energie e risorse. Tre dati che hanno alla base la poca credibilità del nostro partito, la natura estemporanea, volubile e per certi versi schizofrenica della nostra linea politica. In tutti questi anni si è esaltata l’idea del partito del «saper fare», dominato da un eclettismo ideologico e da un immediatismo pratico, che portava a considerare il momento dell’approfondimento teorico come un inutile e «vecchio» orpello. Così abbiamo navigato a vista, andando al traino delle diverse posizioni del movimento o assumendo acriticamente le teorie più bizzarre elaborate nei suoi ambienti intellettuali dai diversi ingegneri delle nuove utopie sociali. Il risultato è la totale assenza di una linea politica nella quale le singole battaglie avessero un legame tra loro e quindi con una strategia legata ad un fine. Anche la battaglia per l’estensione dell’articolo 18 non si è inserita in un quadro di azione politico organico e sistematico incentrato sul lavoro, ma ha finito per essere una delle tante campagne che annualmente il partito decide di assumere. Lo stesso vale poi per la politica delle alleanze, dove il livello di schizofrenia raggiunge livelli senza pari, contribuendo a tracciare una linea politica a zigzag che disorienta e risulta incomprensibile allo stesso corpo militante del partito. Come stupirci del risultato alle elezioni se un giorno assumiamo il socialfascismo come orizzonte – affermando che non c’è graduazione di differenza tra centrodestra e centro sinistra – e il giorno dopo diciamo che l’Ulivo è improvvisamente cambiato e siamo pronti ad un accordo di governo senza neanche concordare lo straccio di un programma? Come stupirci del calo degli scritti se un giorno si e l’altro pure diciamo che il partito è uno strumento oramai inutile e sorpassato, che i circoli sono oramai musei polverosi di un modo «novecentesco» di fare politica? Come stupirci del fatto che la battaglia per l’articolo 18 non sia stata considerata credibile, se fino a non molto tempo fa innalzavamo «altari sacri» a intellettuali come Marco Revelli, dicendo che il conflitto tra capitale e lavoro non era più centrale, che le forme di valorizzazione del capitale andavano oltre la produzione?

 

LA II CONFERENZA NAZIONALE DEI GC: Bilancio di un dibattito

LA II CONFERENZA NAZIONALE DEI GC

Bilancio di un dibattito

«l’ernesto» n. 4 luglio/agosto 2002

 

Gianni Fresu

 

La II Conferenza Nazionale dei GC, tenutasi a Marina di Massa tra il 4 e il 7 luglio, ha visto la presenza di quattro documenti contrapposti grazie ai quali il confronto dialettico si è espresso nella sua più assoluta chiarezza. Tra questi il nostro documento –Giovani e Comunisti- ha ottenuto il 18,3% dei consensi, risultato più che lusinghiero, soprattutto se consideriamo che per la prima volta ci siamo presentati con un documento alternativo, e che dunque siamo dovuti partire praticamente da zero; il secondo documento –espressione del gruppo di “Proposta”- ha preso il 10,4%; il quarto documento – riconducibile al gruppo di “falce e martello”- il 7,3%; quello di maggioranza il 63,9%.

Nel porci in alternativa alla linea espressa dall’Esecutivo uscente dei GC, ne abbiamo contestato l’inconsistenza sul piano organizzativo, le modalità attuate nella definizione della linea, dell’azione politica e della gestione dell’organizzazione, ma soprattutto la debolezza nell’impostazione analitica e propositiva nel suo complesso, che secondo noi lascia intravedere una certa «volubiltà» ideologica frutto dell’assurda convinzione secondo la quale ciò che deve guidare la nostra azione politica per poter essere al passo con i tempi e accettati nei movimenti, deve essere la «contaminazione», anteposta e in gran parte degli interventi contrapposta all’egemonia, ritenuta invece una categoria, residuo di un vecchio armamentario comunista, superata e autoritaria. In realtà alla base di questa convinzione c’é l’assoluta ignoranza di questa categoria, che viene interpretata come un modo burocratico attraverso il quale un partito comunista ottiene voti e iscritti, cioè un’interpretazione che non ha niente a che vedere con l’egemonia stessa che si basa invece sull’idea che in un paese a capitalismo avanzato le modalità di dominio del potere vanno ben al di là dello Stato e dei suoi apparati repressivi e coattivi, esprimendosi nella capacità egemonica sul piano sociale, politico e culturale delle classi dominanti, dunque l’idea per la quale il compito primario di un partito comunista deve essere lavorare alla creazione di un nuovo blocco sociale delle classi subalterne, teso a costruire un’egemonia da parte di queste ultime e in funzione del superamento del modo di produzione capitalistico.

VERSO LA CONFERENZA NAZIONALE DEI GIOVANI COMUNISTI

VERSO LA CONFERENZA NAZIONALE DEI GIOVANI COMUNISTI

Gianni Fresu

«l’ernesto» n.2 marzo/aprile 2002

 

Con la chiusura del V Congresso nazionale del PRC si è aperto ufficialmente il percorso che ci condurrà alla seconda conferenza dei Giovani Comunisti. L’avvio di quest’importante fase impone la necessità di un bilancio seppur sommario dell’esperienza fin qui fatta, a partire almeno dalla scelta, compiuta nelle conferenze tra il 97 e il 98, di strutturare l’organizzazione sulla base del binomio «autonomia-internità», una scelta che aveva il dichiarato intento di evitare la creazione di un’organizzazione giovanile separata dal resto del partito, garantendo però al contempo l’individuazione di campi d’attività –specifici e autonomi- dei Giovani Comunisti. Una scelta felice, in virtù della quale i Giovani Comunisti hanno saputo sviluppare ambiti di iniziativa propria, avvicinando compagni che probabilmente il partito, con la sua ordinaria attività, non sarebbe riuscito ad intercettare, creando nel partito stesso sensibilità nuove verso tematiche fino ad allora trascurate, assumendo un ruolo oggettivamente protagonistico grazie al quale, attualmente, i Giovani Comunisti nei diversi territori sono riconosciuti come un segmento importante, spesso fondamentale, nella variegata composizione dei movimenti ed in particolare di quelli studenteschi. Tuttavia il risultato più significativo di quella scelta è a mio avviso da ravvisare nel fatto che i GC non sono ghettizzati in “riserve generazionali”, ma partecipano, votano, assumono ruoli dirigenti, spesso di primissimo piano, all’interno dell’organizzazione complessiva del partito. Grazie alla scelta che allora compimmo, nel partito si è resa permanente l’interazione delle esperienze di lotta tra nuove e vecchie generazioni presenti nel partito. Così da un lato le prime, lavorando a stretto contatto con i compagni più adulti, oltre a ricevere il ricco e glorioso patrimonio delle lotte passate, si sono formate in vertenze generali e non solo in quelle, pur sempre importanti ma comunque settoriali, del mondo giovanile e dall’altro le seconde hanno potuto mantenere una linea di comunicazione aperta con le nuove realtà del conflitto.

Oltre la parentesi – Fascismo e storia d’Italia nell’interpretazione gramsciana

Aldo Accardo, Gianni Fresu, Oltre la parentesi – Fascismo e storia d’Italia nell’interpretazione gramsciana
Carocci, 2009, pp. 177

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Il fascismo è il tema politico della storia d’Italia che ha dato luogo alla quantità maggiore di studi che hanno posto la propria attenzione ora su questo ora su quell’aspetto – storico, economico, sociale o morale – costitutivo o predominante del fenomeno. Oltre la parentesi, in polemica con le tesi crociane ripercorre i temi della costituzione e dello sviluppo del fascismo in Gramsci, in rapporto al tema delle classi dirigenti nella Storia d’Italia. Una debolezza che affonda le sue radici nell’arresto dello sviluppo capitalistico della civiltà comunale, nella natura cosmopolita dei ceti intellettuali, nella mancata formazione di uno Stato unitario moderno, prima che una serie di concomitanze di carattere internazionale consentissero tale processo. Come rileva Nicola Tranfaglia nella sua prefazione, «il saggio ha il merito di fornire elementi storici e concettuali di grande interesse per analizzare nel lungo periodo gli esiti recenti della difficile crisi che sta attraversando la democrazia repubblicana»

Gli strumenti della politica

Catalogo della biblioteca di Renzo Laconi.

Saggio introduttivo di Gianni Fresu

Catalogo di Roberto Moro e Franco Satta

Aìsara edizioni, Cagliari, (pp. 630)

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Renzo Laconi, politico e intellettuale, ha dedicato le sue energie per fare interagire l’aspirazione alla rinascita economico-sociale della Sardegna con il più complessivo processo di «riforma intellettuale e morale» avviato in Italia con la lotta di liberazione e il varo della Costituzione repubblicana. Nella sua attività politica, così come nei suoi studi, i due livelli – Sardegna-Italia – si integrano in maniera organica. Dalla storia alla politica, dalla politica alla storia, Renzo Laconi ha varcato di continuo la soglia tra questi due versanti, abbattendo tramezzi e muri divisori. La storia non doveva restare patrimonio esclusivo dei grandi santoni del mondo accademico e intellettuale, la politica non doveva rimanere nel chiuso delle burocrazie, tanto del mondo tecnico-amministrativo, quanto dei partiti. L’idea di popolo sardo che Laconi ha teorizzato, come entità mai statica o cristallizzata, nasce dall’appropriazione da parte delle grandi masse popolari isolane degli strumenti intellettuali e organizzativi, fino ad allora recintati alle ristrette élite dei Chierici. La storia e la politica come patrimonio comune e condiviso attraverso il quale pastori, contadini, minatori e lavoratori, sarebbero dovuti divenire protagonisti del proprio processo di emancipazione economica e sociale.